Gioia e Cicuta

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

GIOIA E CICUTA

Leggere, ad esempio, l’Aretino è una conversione alla gioia. Si ricorre al poeta tosco, che si “avventa” – come scrive nei “Ragionamenti” – sulle parole come la “fame sul pan caldo”, volendo intendere che ne trae la parte più squisita. Nei “Sonetti lussuriosi” è rispettata al massimo grado la prosa “argutetta e saporosa che, disfogata la collera, indulgenziava”. L’Aretino è il linguista superiore ai grandi della nostra letteratura.

La natura si adopera, come ha sempre fatto, per ridurre il numero degli abitanti su questa terra. La sua cocciutaggine nell’inventare nuove malattie trova in opposizione le religioni che sono contrarie alla fornicazione dilettevole perché non solamente procreatrice.

Ricordiamo una boutade di Mino Maccari: “E’ così progressivo che in due minuti ti leva il portafoglio”.

La cicuta che l’italiano ingoia amaramente è lo scialo di denaro pubblico e di valori morali, consentendo a un “ospite scomodo”, il nichilismo, di instaurarsi nella propria vita. Il nichilismo irradia un senso di astensione e di sconforto.

Niccolò Tommaseo dice che uno scandalo può accadere o avvenire o seguire. Nel primo caso si presenta con i segni della gravità morale, nel secondo dà l’idea di non essere nato per colpa deliberata e nell’ultimo caso è stato preparato con atti sapienti. In Italia si adoperano tutte le forme di censura per farlo tacere o minimizzarlo.

La cloaca di “Scandalusia”, secondo la definizione del liberale Ernesto Rossi, era già aperta a Roma al tempo dei palazzinari “calce e martello”; quando Ennio Flaiano scriveva: “L’Italia è il paese che ha il maggior numero di miliardari rivoluzionari”.

MAURIZIO LIVERANI