di Maurizio Liverani
Se è vero che la democrazia è melanconia come diceva Mino Martinazzoli, citando un libricino uscito in Francia, non resterebbe che renderla un po’ allegra. Se un candidato a sindaco di Roma come Giorgia Meloni arriva a chiedere le dimissioni del ministro degli esteri europeo Federica Mogherini per aver versato lacrime di dolore per la strage di Bruxelles non ci resta che ridere. La richiesta viene fatta in modo barbaro da chi viene da un’epoca triviale; rivela improvvisamente che un politico può essere un mostro. Se la collega piange per un belga ucciso da un terrorista disgregherebbe il prestigio dell’associazione che rappresenta. Così, pensiamo, ragionavano i nazisti. Secondo l’aspirante sindaco dovrebbe uscire dall’attività politica. Restando metterebbe in crisi gli automatismi della “banda”; è, insomma, un cattivo esempio. Un ministro del suo livello non deve avere alcun tallone di Achille; la Mogherini ne avrebbe più di uno. Dopo queste affermazioni i romani cominciano a diffidare della Meloni; chi la difende sostiene che alcune volte politici così audaci si imbattano in crisi psicopatiche. La commistione tra paranoia e politica è un fatto acquisito. Ci sono molti politici che soggiacciono alla voluttà di essere oracoli. Sono quelli che nel passato e nel presente rappresentano il “generale inverno”. Al Campidoglio, purtroppo, la Meloni non salirà.
Maurizio Liverani