di Maurizio Liverani
In virtù di tutti i privilegi che gli avversari gli hanno accordato nella fase snobistica, eccentrica, dandistica – in una parola, conformista – i “residuati” del pci sarebbero in “panne” con gli attuali capi. Rievocare i loro crimini non servirebbe a nulla, gioverebbe a ingigantire la struttura del partito. Bisogna convincersi che la scomparsa della credenza nella dannazione rende ormai vano ogni discorso moralistico. Il “volto nuovo” è trionfante sin dai tempi del Migliore. I crimini affascinano, più oggi che allora, la base vetero-comunista. Il “sinistro” ha, in questo momento, la certezza che il premier non è una pappa-molle e i compagni non sono annegati nella delusione. Mentre nell’altra sponda non si conosce né delusione né esigenza di rivalsa; quello che è stato è stato. Rimettono tutti gli sdegni alla prova di un unico criterio: la democrazia non è mai esistita; non interessa più sapere se un tale è progressista o un tal’altro conservatore. Nel duetto tramontato destra e sinistra si vogliono vedere tutti i vantaggi dell’alleanza di sapore renziano nella quale confluiscono gradatamente quelli della destra; fedeli alla tattica, rispondono sempre come fa Verdini: “lo facciamo per salvare l’Italia”. Bravi: l’elettoralismo che serve per assolvere l’inganno; una bella definizione dell’ideale democratico. Per assecondare questo ideale, la “renzologia” richiede, però, un lavoro di aggiornamento costante e ragionato. L’avvicinarsi dell’elezione del sindaco di Roma induce il premier a fiutare il vento del “triumvirato”, ligio alla regola secondo la quale quel che conta è durare, e non essere un passeggero balocco come il predecessore. Sul piano del governo il caso del sindaco della Capitale conferma quello che tutti sanno e cioè che una frantumaglia di partiti, dove il Pd la fa da padrone, non ha grandi possibilità di andare avanti se non si trova un accordo. Il “triumvirato” è il superamento delle larghe intese, lascerebbe prevedere, finalmente, una maggiore collegialità e porrebbe fine a questa conflittualità che amareggia la vita degli italiani. Il candidato del Pd accetterebbe questa soluzione alleandosi con Bertolaso e con Marchini? Quest’ultimo è un “caudillo”, cioè un capo capace di condurre un’amministrazione da solo; non ha alle spalle una tradizione gregaria. Gli altri gli riconoscono valori di intelligenza e di cultura amministrativa. Effettivamente, Roma, squassata da decenni di cattiva gestione, avrebbe bisogno di una “force de frappe”. Tutti e tre i candidati sanno comportarsi da tecnocrati e il tecnocrate sfugge a tutte le tradizionali categorie morali e ideologiche. La tecnocrazia è al di là della politica e segue i dettami dell’efficienza. Ecco spiegato perché solo un “triumvirato” potrebbe salvare la capitale e potrebbe essere l’idea-forza per unire definitivamente, dopo oltre centocinquant’anni, l’Italia.
Maurizio Liverani