di MAURIZIO LIVERANI
A SIMENON PIACEVA DI PIU’ IL MAIGRET DI CERVI …SI SCUSO’ CON JEAN GABIN !
Non ci credereste, ma nella cerchia degli ammiratori di Georges Simenon si ripropone, ad anni alterni, la disputa su quale attore somigli di più all’immortale figura del commissario Maigret. Maigret non è frutto della fantasia, o meglio non lo è del tutto perché Simenon lo ha modellato su un autentico commissario che si chiamava Massu. Un personaggio, questo Massu, che ricorreva spesso negli annali della polizia francese. Simenon, quand’era giornalista e si occupava di cronaca nera, lo seguiva nelle sue indagini che poi gli sono servite da spunto per i suoi romanzi. Era un poliziotto vecchio stampo che, con la praticaccia, con il fiuto, con l’intuito del professionista della tradizione, ragionava, induceva e deduceva e si serviva di tutti e di tutto con agile finezza, anche del grosso sale della gente sana e ignorante, per raffinarlo poi con l’intelletto che, appena messo in movimento, faceva miracoli.
Ricordo un incontro con Simenon a Delfzijl, in Olanda, dove, nel 1966, fu inaugurata una statua del commissario Maigret. «Chi, secondo voi – chiese Simenon – tra Gabin, Cervi e gli altri quindici attori si avvicina di più al povero Massu?». I presenti furono concordi nell’affermare che il compianto Massu, effettivamente, assomigliava al Maigret di Gino Cervi. «Maigret era un tantino avaro. Non era tirchio, non lesinava i denari della spesa alla moglie, ma aveva un concetto parsimonioso della vita. Ecco secondo noi l’immagine di Cervi è più vicina a quella del nostro amico. Gabin ha un tono da gran signore e lo sguardo freddo. Il Maigret che ci ha mostrato è un Maigret tormentato dall’angoscia di dover pesare la mano della giustizia. Cervi è, invece, un grosso gatto che gioca con il topo e che non è assillato dal problema se l’uomo ha diritto di giudicare un altro uomo. Il nostro amico aveva una filosofia semplice della vita. Sì, ha ragione lei, Simenon, Maigret amava la mediocrità». E mentre Simenon assentiva, conclusero, rivolti a Gino Cervi: «Maigret vi assomigliava, se questo può farvi piacere dopo quanto detto». Il bandolo della conversazione perfezionò il concetto dell’avarizia di Maigret. «Sì, era avaro, ma nel senso che all’avarizia danno gli psicanalisti. In questo nostro vecchio amico si nascondeva, in realtà, un fanciullo. Di qui venivano i suoi bruschi desideri di solitudine, quelle lunghe parentesi di isolamento in cui appariva come sognante e il suo amore per i luoghi angusti. Maigret aveva gran cura della sua solitudine. Se la sua professione l’obbligava ad avvicinare altra gente, trovava il modo di restare solo in maniera particolare, cercando non di comprendere gli altri, ma, piuttosto, di insinuarsi nella pelle di un altro e condurlo a seguire un destino mediocre come il suo».
A causa di Maigret è sorto tra Gabin e l’attore italiano un antagonismo. Cervi, per non lasciarsi influenzare dalle celebri interpretazioni dell’attore francese, si è imposto di non vedere nessuno dei suoi film in cui è nei panni dell’ispettore. Mentre Gabin non trova corretto che Simenon faccia sapere a tutti che, finalmente, con Gino Cervi Maigret abbia trovato “il suo vero volto”. Simenon si scusa con Gabin. «Non posso negare – dice – che Cervi è più fedele a quello che ho disegnato con la mia penna. Maigret è apatico, mai indaffarato o faccendiero; ha sempre l’aria di uno che vuol smetterla, infastidito, irritato dal suo mestiere. La sua natura pesante, le sue molte pipe, i bicchierini di Calvados fanno contrasto con l’agile, avventurosa professione di poliziotto. Un raffreddore consente a Maigret di starsene a letto e di condurre la sua inchiesta nel modo, per lui, migliore, senza lasciare, cioè, il letto. Maigret è un essere molto infantile. Come poliziotto non è un lavoratore della giustizia, indifferente o vendicatrice. È un poliziotto che indaga voluttuosamente. Dalla finestra del suo appartamento del boulevard Richard Lenoir, Maigret immerge il suo sguardo nelle case dei vicini. Perché? Per nulla, per riempire con dei niente l’enorme vuoto che sa creare intorno a sé e che gli dà una eccitante ebbrezza. Nelle sue investigazioni, Maigret dà libero sfogo alla sua infanzia. Cervi è Maigret più di Gabin. Gabin ha dato al mio commissario un senso tragico della vita. Il suo istinto drammatico lo spinge a comprendere fino in fondo gli altri esseri umani, nel bene e nel male. Sempre lo accompagna un alone triste. Dall’involucro di Maigret, Cervi fa balenare, invece, una bonaria malizia, una ironica ingenuità. Maigret è un fanciullo che ha scelto per piaceri solitari non le fantasticherie erotiche, ma il gusto perfidamente infantile di rintracciare i colpevoli».
Così Cervi si vede condannato, all’età di sessantacinque anni, nella parte del famoso commissario. Si è talmente immedesimato nei panni di Maigret che agli occhi degli spettatori appare ormai un autentico ispettore. Racconta, sul set del film che sta interpretando, diretto da Mario Landi, che ogni giorno gli arrivano lettere piene di quesiti polizieschi da risolvere e domande di grazia. Cervi si muove sulla scena annusando il colpevole come un vecchio gatto che ha voglia di coratella. Esattamente il Maigret che gli amici di Delfzijl ricordano e che Simenon ha descritto.
MAURIZIO LIVERANI