ALBERTO SORDI CI RAPPRESENTA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI 
ALBERTO SORDI CI RAPPRESENTA
Finché la figura dell’”uomo nuovo”, pregno di ideali – figura nata con la guerra civile – appagava gli animi, un tipo come Alberto Sordi non poteva sedurre che una parte degli italiani. Da quando il mito dell’”uomo nuovo” ha preso a deluderli, il personaggio di Albertone ha cominciato a conquistarci. Con la caduta delle illusioni del dopoguerra – tenute in piedi con le stampelle della retorica – l’idea guida per vivere in questa repubblica, basata sulla furbizia e la corruzione, si incardinò su Alberto Sordi. L’”uomo nuovo” cessò di ossessionare e di turbare. Gli italiani lo esaltavano a parole e lo esecravano con il loro comportamento cinico; si ridestava, trionfante, la figura del furbo. Da quel momento il personaggio Sordi si eresse davanti a noi e ai nostri flebili aneliti idealistici con ghigno beffardo. “Ma chi te credi d’esse.. Ma ndo vai…” ; sono espressioni romanesche usate dall’attore per ricondurci alla nostra essenza originaria: quella di sopravanzare il nostro prossimo con l’astuzia. L’idealismo dei primi anni, succeduti alla conclusione della guerra, si è lasciato facilmente domare. E’ rimasto soltanto nelle esternazioni ufficiali, in quelle dei “buoni maestri”, sempre pronti a salire su pulpiti velleitari ed elegiaci, con nobili esortazioni puntualmente contraddette dai comportamenti. Il “sordismo” represso esplose distruggendo pompose retoriche; non c’è stato conflitto. L’attore, bravissimo, si riappacificava con noi, assicurando la “continuità” del cinismo nazionale. L’insegnamento di ideologie e fedi, ispirate a propositi d’alta moralità, si è vanificato in un soffio. Perduta ogni attrattiva di rinnovamento, sulla scia di Sordi, più che per clonazione che per imitazione, si sono posti a loro modo Nino Manfredi, Enrico Montesano, Ugo Tognazzi. Più tardi, Carlo Verdone, Roberto Benigni, Francesco Nuti, Christian De Sica, Aldo, Giovanni e Giacomo e Checco Zalone. Anche quando Sordi cominciò a non amarsi come quintessenza del furbo non gli è riuscito di “paralizzare” il suo “io” cinico; più cercava di staccarsi e più vi sprofondava. Il vigore di questa “creazione cinematografica” si è dilatata nella cassa di risonanza dell’autocompiacimento degli italiani che in lui si riconoscono. Quando ci illudevamo di essere diversi – sulla traccia di eventi che hanno modificato il mondo – abbiamo trovato al varco della rinascita, puntuale, Alberto Sordi. Come cito nel mio “Le fuggevoli nuvole del divismo si dissolvono con Audrey”, la “banana” del “Ma ndo vai se la banana nun ce l’hai” sta per grimaldello , buono per aprire tutte le porte, per scardinare scrupoli, per tirare diritto verso il proprio tornaconto. Se la “banana” non ce l’hai, sei fuori dal gioco. Dei politici di ieri e di oggi – esclusi alcuni che meritano rispetto – Sordi è stato precettore, maestro, mentore. Ha ragione Federico Fellini quando dice: “Alberto è cento; gli altri sono, al massimo, dieci”.
 
MAURIZIO LIVERANI