di Maurizio Liverani
“Si può dire che opere apparentemente impegnate possono avere una funzione reazionaria, distogliendo l’attenzione dei problemi veri; procurano un conforto intellettuale, sono sedative e servono da alibi”. Questo scriveva sul “Mondo” Leonardo Sciascia tanti anni fa; il tempo gli ha dato ragione. Molte grandi case editrici hanno dato, in questi anni, alla letteratura il valore di quel fascicolo in cui sono elencati i reati di vario tipo registrati dalle singole Questure. L’egemonia a vasto raggio esercitata dal partito cardine del Paese è il vademecum di una politica che serve a tener d’occhio chi trasgredisce dai principi base o che, più semplicemente, traligna dalla segnaletica ideologica. Un tempo in via delle Botteghe Oscure esisteva un vero e proprio ufficio di “vigilanza rivoluzionaria”. Vigilanza affidata a Mario Alicata, Antonello Trombadori, Giuseppe De Santis, appartenenti, durante il fascismo, a un gruppo di intelligenti e sbravazzi esponenti del Guf. Dal fascismo che imponeva la tessera, il saluto romano, il “voi” e tanti “vinceremo”, si aggiunse, con successo, il fanfaronesco “tireremo diritto”. Il ventennio non è stato per tutti gli uomini di spettacolo un calvario. Roberto Rossellini realizzò film di propaganda fascista; l’antisovietico “L’uomo della croce” precede di poco “Roma città aperta”. Dopo il ’45 non era richiesta nessuna “abiura”, si diventava comunisti per germinazione spontanea che recava grandi vantaggi. L’accademico d’Italia, nelle cui opere non c’è alcun “afflato littorio”, diede la sua obbedienza politica con la semplice acquisizione di una tessera littoria; il suo saluto romano era però flebile e dettato dal proposito di non aver noie. Ricordo un giovane avanguardista che per aver teso la mano a un caporione ottenne un sonoro ceffone; la stretta di mano era proibita, anche noi ragazzi salutavamo romanamente. Sono episodi che a ricordarli ridestano un certo ridicolo. All’inaugurazione di un teatro politeama si presentarono molti gerarchi, tutti bardati di nero; salutandosi romanamente facevano risuonare il crepitio dei battitacchi che creava una simpatica sequenza con il ticchettio dei tacchi delle soubrettes (ricordo che erano quelle di Totò) le quali davano inizio allo spettacolo intonando una canzone sulle note di un famoso maestro di orchestra: “le gocce cadono ma che fa se ci bagniamo un po’, domani il sole ci potrà asciugar”. Questa canzoncina assurse a popolarità tanto da diventare per qualche tempo una sorta di inno nazionale. Erano gli anni in cui andavano di moda le canzoni di Vanda Osiri(s), la esse fu tolta per volere della censura. Poco tempo dopo, Giuseppe Berto, autore del “Male oscuro”, ripeteva che i principi del fascismo sono più stupidi che menzogneri ma quelli del post fascismo sono più menzogneri che stupidi. Quello che interessava la censura fascista era che tutto non si limitasse a una schermaglia dai connotati spiritosi ma si tingesse di odio. E’ regola dei partiti che la società sia permeata di questo forsennato sentimento che spinge facinorosi ad agire in maniera criminosa. Questo è il glorioso avvenire che abbiamo alle spalle.
Maurizio Liverani
(Nelle foto: Sciascia, Rossellini, Berto)