BARBARA DA SEMPRE

di Maurizio Liverani

“Molta faccia tosta, ancora faccia tosta, sempre faccia tosta”; questa celebre frase di Danton andrebbe messa in calce all’intervista di un illustre professore, storico della città di Roma,  rilasciata al “Corriere della Sera”. E’ un ottantenne e trova nella capitale un’atmosfera degna dell’Impero romano. Ha la correttezza di ammettere che abbiamo assistito a un lento decadere della città. “… ho perso un occhio e un po’ di mento, alla fine mi ritrovo a girare per le strade e non sono più capace di riconoscerle…”; alla sindaca Virginia Raggi suggerisce di ammettere di non avercela fatta e di chiedere scusa ai romani. Scusate, ma in quanto dice l’autorevole Carandini intravvediamo un po’ di faccia tosta. Che Roma fosse destinata al degrado progressivo era già noto dai primi anni ’70 quando Ennio Flaiano affermava: “Vivere a Roma è come perdere la vita”. La Capitale ha sempre fatto leva su un’Italia dominata da uno spirito arcaico. E’ giusto segnalare le responsabilità della sindaca Raggi, rea di una noiosa tendenza alla ripetitività; ma chi ha governato Roma è sempre stato interessato alla conservazione del sottosviluppo intellettuale. Grado a grado i romani, come gli italiani tutti, sono approdati a valori, non più sanfedisti e clericali né comunistici ma a valori appartenenti all’ideologia edonistica del consumo, della droga e della conseguente tolleranza modernistica di tipo americano. C’è stato l’affrancamento dai partiti, ma non abbiamo diritto di cantare vittoria perché sono stati proprio i partiti e i sindacati a perdere il contatto con la realtà nuova. E’ stata proprio l’autorità costituita, quella dei santoni alla Carandini, a non accorgersi della caduta della Capitale di cui conoscevano tutti i recessi e i cifrari. Dunque, “faccia tosta”. E’ questa loro inerzia che ha spinto agli eccessi del ’68 con la complicità della cosiddetta “maggioranza silenziosa”. Quello che è costato a Roma e ai cittadini romani la sottomissione al “tanto peggio, tanto meglio” era già chiaro allora. Appena si delineava una prospettiva di ripresa, chi deteneva il potere politico, intellettuale e morale della città esitava come un fiume davanti alla foce. Il risollevamento di Roma e del Paese tutto non poteva avvenire nei cosiddetti “anni di piombo”. Affiorano oggi le premesse di una commedia degli inganni. L’alta intellettualità si è resa conto delle proprie responsabilità “fuori tempo massimo”. La sincerità di Andrea Carandini (foto) è un po’ tardiva, anche se molto apprezzata; rientra nel genere dell’autocritica che è il “passe-partout” per declinare ogni responsabilità. I turbamenti di coscienza per le sofferenze della città erano già evidenti in molti intellettuali in crisi. I rampanti e gli arroganti avevano già in mano il potere. La reazione: il semplice stare a guardare. L’automatismo del dubbio ci porta a credere che la decadenza della romanità inizi da un lontano smarrimento di chi doveva prevederla.

Maurizio Liverani