di Maurizio Liverani
In una frase lucidissima Karol Wojtyla fissò il modo con cui il credente deve prepararsi all’Apocalisse. Disse: “Occorre attendere questo evento finale con serena speranza”. Voleva dirci che l’Apocalisse non è un incubo; bisogna impegnarsi alla costruzione di un nuovo regno che alla fine sarà consegnato da Cristo nelle mani del Padre. A differenza dei nichilisti, Wojtyla contestava qualsiasi alleanza con il flagello, con la calamità. La fine del mondo la vedeva come il nuovo ritorno di Cristo. L’Apocalisse quindi non è una maledizione bensì un evento “provvidenziale”. Non avrebbe nulla di irrazionale; sarebbe una forma di comunione con la “patria celeste” perché, disse durante il Giubileo, “non abbiamo quaggiù una città stabile… Siamo pellegrini alla ricerca di una dimora definitiva”. Nel catechismo, alla preparazione di questo nuovo Giubileo, Papa Francesco invita i credenti a non avere paura. L’Apocalisse, per chi ha fede, è l’approdo nella gloria celeste, quando l’essere umano vivrà purificato circonfuso di trascendenza. Annullato il tempo, il credente si abbandonerà alla seduzione della vita eterna. Il tempo, il divenire e il niente ci saranno, con la fine, indifferenti. Felici coloro che potranno entrare a vele spiegate in questa fine. Il futuro è nell’ ”al di là”. Il materialismo è “bocciato” per la pretesa di voler edificare una morale soltanto umana. Il credente e il non credente a sentire queste parole provano una certa inquietudine. In sostanza, in questo mondo non si può coltivare alcuna speranza perché “quaggiù non abbiamo una città stabile”. Quaggiù abbiamo soltanto nuovi olocausti in mancanza di una “decorosa” Apocalisse. Sotto scomunica è ancora tenuto il nome e il ricordo del sacerdote Ernesto Bonaiuti, il più acuto interprete del modernismo. Vi domanderete: “Cosa c’entra l’autore delle “Lettere di un prete modernista” con l’attesa Apocalisse?”. Le famose lettere rappresentarono, nei primi anni del secolo scorso, la protesta contro la religiosità pessimistica e cupa e l’esaltazione di un cristianesimo visto come gioiosa espressione della vitalità dell’uomo. “La società moderna – scrive Bonaiuti – vuole che l’individuo e la collettività non si rassegnino inerti al male della vita ma cerchino di migliorarla… Il cattolicesimo predica invece la rassegnazione al male presente in vista di un misterioso premio al di là della tomba, inculca l’abbandono di ogni volontà irrequieta di avanzamento nella prosperità…”. Tutte le fedi basate sul dogma, quando si fanatizzano, vedono nei credenti di altre religioni gli infedeli da sopprimere. Dogma contro dogma, una guerra continua. Papa Wojtyla ce lo aveva spiegato bene. Papa Francesco non ha mai commentato le sue parole; le condivide o no? Il fatto che nel mondo si moltiplichino i massacri in nome di ideali religiosi ci fa sorgere il sospetto che non la pensi allo stesso modo di Wojtyla.
Maurizio Liverani