BERGMAN E FELLINI INCONCILIABILI

di Maurizio Liverani

L’idolatria che ha avvolto per tanti anni il regista svedese Ingmar Bergman si è gradatamente attenuata. Il suo “Il posto delle fragole”, considerato il migliore in assoluto tra tutti i film realizzati nel mondo, è stato proclamato eccelso da grandi cultori del cinema. Con sorpresa si è appreso poi che il secondo posto è stato conquistato da “La corazzata Potëmkin” di Sergej Einstein che giustappone milletrecentosettantanove inquadrature, esattamente il doppio della lunghezza di una normale pellicola. In Svezia non sono particolarmente fieri di questo riconoscimento dato al regista, marito, negli anni sessanta, della famosa attrice e critica cinematografica Harriet Andersson. Un Paese che ha un tale autore ne dovrebbe essere fiero, in realtà il decantato Ingmar non è visto di buon occhio dai suoi connazionali. Il giovane regista Jorn Donner mi spiegò, anni fa, l’astio degli svedesi verso quello che noi consideriamo un grande. Le ragioni di questa avversione hanno il sapore delle malignità delle lavandaie che si incontrano al lavatoio. Uno dei motivi è che aveva un suo particolare modo di scegliere le attrici, sottraendole ad altri registi. Lo stesso Donner non tralasciava occasione per esercitare una corrosiva ironia contro il suo avversario. Arrivò a definirlo “il mistificatore”, sostenendo che i suoi film avevano un tono vecchio e che era soltanto animato dal desiderio di fare clamore. I due volumi di Bergman dedicati a Greta Garbo e Ingrid Bergman sono pieni di allusioni malevole verso la decadenza fisica delle due grandi star; Hollywood si risentì molto di questi ritratti. Donner, attraverso questi appunti verso il regista, voleva sminuirne la fama di genio e gli riesce arduo non riconoscerne l’insuperabile maestria, tendendo a dare tutto il merito ai collaboratori. Quando uscì questa intervista, Bergman definì Donner un giovanottello presuntuoso e opportunista. Su Fellini non volle mai esprimersi apertamente mentre Federico ardeva dal desiderio di fare un film con lui. L’impossibilità di realizzare una pellicola in collaborazione consisteva in un motivo molto semplice. Bergman voleva rivelare che stiamo vivendo l’Apocalisse, che potrebbe durare molti secoli, mentre Fellini, più ottimista, aveva l’immagine di una umanità aperta alla speranza. Stolido chi ha cercato di conciliare due registi inconciliabili, con una visione totalmente opposta della vita. Quando fu rotto il patto, Bergman era raggiante, prese il primo motoscafo dal Lido di Venezia e in giornata era già nella solitudine della sua famosa isola, Fårö. Amava i cieli velati, le atmosfere brumose, detestava la solarità mediterranea.

Maurizio Liverani