di Maurizio Liverani
Un terremoto apocalittico mette a nudo le ragioni che hanno indotto il Vaticano a “licenziare” Benedetto XVI e reclutare Bergoglio che ha assunto il nome di Francesco per apparire la guida dei diseredati, dei perseguitati dalla sorte e dare un aiutino ai cattolici in politica, ormai ridotti a un focherello che non scalda l’anima. Per riassumere quello che sta accadendo è che la Santa Sede ha deciso di stare con gli umili e non aspirare alle grandigie spirituali di Wojtyla. Tra i tanti conflitti che costellano questo Paese si aggiunge in sordina, per ora, un contrasto tra la visione di un Papa polacco, lucidissimo, voltairiano per efficacia e rapidità, il quale fissò il modo con cui il credente deve prepararsi all’evento finale: l’apocalisse. “Occorre attendere – disse in uno dei suoi ultimi discorsi – quest’evento finale con serena speranza… bisogna impegnarsi alla costruzione del nuovo Regno che, alla fine, sarà consegnato da Cristo nelle mani del Padre”. L’apocalisse non era, nelle parole del Papa, un flagello sprovvisto di senso, non una maledizione bensì provvidenziale; una forma di comunione tra la patria celeste perché, diceva, “Non abbiamo quaggiù una città stabile; siamo pellegrini alla ricerca di una dimora definitiva”. Papa Francesco è invece convinto, sulla scia dei sacri testi, che la terra sarà finalmente purificata, sarà circonfusa di trascendente; il Tempo, il Divenire e il Niente ci saranno indifferenti. Se per Wojtyla il futuro è nell’aldilà, Bergoglio pretende di voler edificare una morale soltanto umana. I partiti di ispirazione cattolica sono invitati a uscire dall’inerzia e riprendere l’iniziativa. Il Papa prova una certa inquietudine a sentire che in questo mondo non si può coltivare alcuna speranza perché il futuro è solo nell’aldilà. Alla maniera di Ernesto Buonaiuti, il prete autore delle “Lettere di un prete modernista”, che su questa terra trovava motivi di gaudio, Francesco pare dica, in contrasto con Wojtyla, che la nostra società è animata da un desiderio intenso alle pure gioie dell’esistenza.
Maurizio Liverani