di MAURIZIO LIVERANI
BUFFALO BILL? ERA UN CODARDO
*Cheyenne (Wyoming), novembre
«Gli americani vi trattano male?», domandai al capo degli indiani cheyenne, un uomo sulla sessantina, alto con una chioma uniformemente grigia con la scriminatura in mezzo al cranio alla maniera di Geronimo. Il volto era caratterizzato da una cicatrice sulla guancia destra e da un paio di orecchi che sembravano due ali di pipistrello pronte a distendersi nel volo. «Non dica sciocchezze», rispose il capo degli indiani che nel Wyoming sono quattromila e sono tutti discendenti da quei pellirosse che fecero strage di yankees a Fort Laramie. La sua irritazione e il suo dispetto per la mia domanda stonava con la malinconica e sommessa indifferenza della sua faccia. Ma subito si pentì di questo scatto, che mi aveva più sorpreso che offeso; e forse fu a titolo di riparazione che si risolse a spiegarmi le ragioni che inducono gli americani a intrattenere buoni rapporti con gli indiani degli Stati Uniti.
«Si ricordi – mi disse – che senza di noi gli americani non potrebbero vantare un’epopea come quella del West. Senza di noi non avrebbero vinto l’ultima guerra e senza di noi il cinema western non esisterebbe più». Lo guardai. Non c’era dubbio: parlava sul serio. Del resto nel discorso celebrativo dell’amicizia tra pellirosse e visi pallidi, il sindaco di Cheyenne aveva citato alcuni giudizi sugli indiani tratti dall’antologia This Is The West, giudizi di generali famosi come Charles King il quale disse essere gli “indiani più temibili di qualsiasi esercito europeo”, mentre il capitano John G. Bourke descrisse la cavalleria dei pellirosse “la migliore del mondo, superiore agli inglesi”. Il giudizio più singolare è quello del generale Custer il quale ha scritto che ‘gli indiani hanno la ferrea indisciplina dei soldati indisciplinati, la sola che conti in guerra’. E dire che Custer o “Long Hair”, o “Boy General”, o “Lucky Custer”, come lo chiamavano, era al comando della più indisciplinata accozzaglia di soldati che sia mai apparsa nella storia, i famosi Snow Birds, gli “Uccelli della Neve”, una specie di Legione Straniera che annoverava inglesi, tedeschi, francesi, messicani, negri e persino italiani, tutta gente che si arruolava quando cominciava l’inverno per guadagnare una gavetta e un giaciglio e regolarmente disertava all’inizio della primavera per riprendere una vita libera, magari prendendo d’assalto le diligenze o i convogli della Union Pacific Railroad Company che attraversa, con uno dei suoi tre tronconi, il Wyoming.
«Noi indiani – continua il capo pellirossa guardandomi con l’aria di chi valuti il mio scalpo – questi sporchi mercenari li chiamavano Buffalo Soldiers perché il loro cuoio capelluto offriva ai nostri scalpatori la stessa resistenza della pelle del bufalo». Con un risolino magro e verde, un risolino stretto, tagliente che m’entrò per gli occhi come un trapano in un dente, il capo cheyenne mi spiegò che la scomparsa dei bisonti va imputata ai visi-pallidi che con il loro arrivo contagiarono la prateria delle loro malattie. «Le loro pistole fecero meno danno del loro sangue infetto», proseguì con l’aria di colui cui basti un’occhiata per contarvi i peli sulla testa. Per vendicarmi della sua tronfia superbia, che confinava nella sgarberia, gli dissi di essere a conoscenza della sua ascendenza. Il capo dei cheyenne rimase come un grullo, con quell’aria buffa che i prepotenti hanno nelle tele dei pittori fiorentini.
Tanto cipiglio e tanta boria erano infatti del tutto gratuiti e ingiustificati, perché egli discende da Punta di Chiodo e Passero appena Nato, due capi indiani che insieme a Volto Ferito e Dente di Orso caddero nel tranello teso ai pellirosse dal generale Taylor e dal generale Sanborn che, come delegati del governo di Washington, convocarono a Fort Laramie – a pochi chilometri da Cheyenne – una conferenza, La Conferenza dei Corvi, che doveva por fine alle ostilità. Correva l’anno 1867. Punta di Chiodo, Passero appena Nato, Volto Ferito e Dente d’Orso parteciparono al “vertice” mentre Geronimo, Nuvola Rossa e Toro Seduto non accettarono il “pau-pau”, cioè la discussione, dicendo che «dentro la bocca dei visi-pallidi c’è una lingua lunga e svelta e non ci si doveva fidare». E non ebbero torto perché gli yankees, dopo aver offerto la coesistenza pacifica, ripresero a tradimento le ostilità che terminarono praticamente nel 1890 con il massacro di Wounded Knee. Da quel giorno «il sole non sorge più dietro la groppa dei bisonti».
Mentre le gesta di Geronimo, Nuvola Rossa e toro Seduto giganteggiano nella storia del West, quelle di Punta di Chiodo e Passero appena Nato sono andate in briciole. Mi è stato detto che qualcosa di doloroso, di triste, appare sempre negli occhi del capo indiano quando si allude alla sua ascendenza Perché egli avrebbe voluto essere scaturito dai lombi di Geronimo e non da quelli di Passero appena Nato. Si consola pensando che da Geronimo non è disceso nessuno, né discendenti, né collaterali perché i visi-pallidi lo imprigionarono e lo impiccarono. «La guerra è quella che è», disse il capo indiano pacatamente cercando con la mano, sul cranio, le trecce muliebri – che oggi i pellirosse più non hanno – da carezzare. «I visi-pallidi ebbero ragione del nostro valore e del nostro coraggio solo quando cominciarono a spararci con le mitragliatrici Hotchkiss – continuò il bisnipote di Passero appena Nato – Senza quell’infernale arnese non avrebbero mai vinto».
Non c’è nulla che dia tanto fastidio agli indiani d’oggi quanto le parole retoriche e il vizio del fare gli eroi che hanno gli americani. «Senza le Hotchkiss ora un indiano sarebbe alla Casa Bianca – rincarò con orgoglio il bisnipote di Punta di Chiodo – e i russi dovrebbero vedersela con noi». Sta di fatto che gli americani tra tutte le guerre che hanno combattute considerano quella contro gli indiani la più bella. Nelle altre si sono sempre imposti grazie alla superiorità dei mezzi contro popoli più deboli; con gli indiani si sono battuti invece ad armi pari sino all’arrivo delle mitragliatrici. Studiosi di storia americana affermano che i pellirosse erano guerrieri intelligenti, manovrieri, coraggiosi. Ed è per queste ragioni che gli americani li rispettano. Persino Buffalo Bill di fronte agli indiani era preso dalla tremarella. La sua “Colt” era infallibile quando il bersaglio era una bottiglia, ma faceva qualche volta cilecca contro gli indiani. La leggenda di Buffalo Bill è stata in gran parte ridimensionata; come cavallerizzo e cacciatore di bufali fu ridicolizzato da un “buttero” di Terracina che lo aveva sfidato quando venne in Italia. Come combattente non rifulse di particolare coraggio. Secondo il capo indiano, Buffalo Bill era un “mediocre”. Mi spiegò, con la consueta aria sprezzante, che nella battaglia di Little Big Horn, il celebre pistolero, decantato da centinaia di film, rimase nelle retrovie, immobile sul suo cavallo. Quando un ufficiale gli chiese cosa aspettasse per gettarsi nella mischia, rispose: «È magnifico, è una scena magnifica», alludendo alla carica della cavalleria dei pellirosse. Si decise a combattere soltanto quando l’ufficiale gli lanciò uno sferzante: «Buon divertimento, signor Buffalo». Toccato, Bill si gettò nella battaglia, al riparo del generale Custer. Nell’iconografia dell’epopea del West, Buffalo Bill immeritatamente, dunque, viene rappresentato come l’eroe di Little Big Horn.
«Bel coraggio», commentò il capo cheyenne al termine del racconto. «Sherman sì che era un duro», riprese conservando la sua aria impassibile e impenetrabile. «Ma era anche un nazista. Voleva sterminare le donne e i bambini pellirosse. Era un valoroso come il capitano Frederik Brown che si era messo in testa di scotennare nientemeno che Nuvola Rossa. Una spacconata che pagò cara. Il 21 dicembre del 1866 a Fort Laramie, Nuvola Rossa gli tolse lo scalpo».
Naturalmente voleva nascondermi il seguito, cioè che il maggiore Powel per vendicare il capitano Brown affrontò con due squadroni le orde di Nuvola rossa e Coda Macchiata e le sconfisse. Glielo ricordai e il capo indiano mi fissò con aria crudele. «Fu allora -disse risentito – che gli yankees usarono per la prima volta le mitragliatrici. Gliel’ho detto, senza quelle saremmo alla Casa Bianca e i russi e i cinesi tremerebbero di paura». Irritato dalle mie obbiezioni, proruppe subito dopo in uno sfogo contro gli americani: «Perché si può essere contro di noi quanto si vuole, fare film in cui ci attribuiscono soltanto intenzioni aggressive e malvagie… Ma non debbono poi venirci a cercare quando c’è da fare un western…».
Quando l’industria della celluloide entra in crisi, Hollywood riprende il vizio di convocare gli indiani. Se sono a corto di argomenti, i produttori ricorrono al film “western”. Anche ora ne sfornano a getto continuo, di buoni e di cattivi, per lo schermo e per la televisione. «A voi in Europa possono anche farvi vedere dei finti indiani… Ma gli americani non possono ingannarli… Un yankee sa riconoscere un pellirossa vero da un pellirossa finto anche su un campo lungo…», proseguì il capo cheyenne rivelando anche di conoscere la tecnica della ripresa cinematografica. Gli indiani, specialmente i giovani, preferiscono essere ingaggiati nei “westerns” che lavorare nei campi. Adesso che Hollywood nuovamente si sfoga in spettacoli della prateria c’è lavoro per tutti e si assiste al miracolo economico indiano, al “boom” dei pellirosse. Non c’è riserva negli Stati Uniti in cui non si incontri una “troupe” cinematografica intenta a confezionare un “western”. Gli studi di Hollywood sono disertati e le storie del West sono prevalentemente girate nei posti dove avvennero gli scontri con gli indiani. Intere tribù di pellirosse hanno lasciato il loro mestiere e fanno le comparse; vengono scritturate intere famiglie con i cavalli compresi. Una comparsa indiana può guadagnare anche cinquanta dollari al giorno specialmente se deve compiere qualche capriola con il cavallo per consentire le riprese di una carica o cadere fingendo di essere stata colpita.
«Non è solo il guadagno che ci interessa – mi spiegò il capo cheyenne – è l’amore per l’avventura, per le battaglie anche se non sono vere… Siamo un popolo nato per il combattimento, per affrontare il rischio…». Ed è così vero che quando sulla scena si muovono pellirosse autentici si corrono seri pericoli perché loro, spesse volte, dimenticano la finzione e fanno sul serio. Negli attacchi alle carovane, negli inseguimenti, negli scontri, nelle fughe non si risparmiano. Molti attori famosi pretendono che nei contratti stipulati per i “western” in cui appaiono autentici indiani ci sia un raddoppio di assicurazione. Il più delle volte i registi sono costretti a mentire ai pellirosse. Se il copione contempla una sconfitta indiana non ne parlano perché gli indiani assumerebbero subito una mutria da autentici sconfitti. Ma c’è un altro pericolo: che non accettino di perdere e sul più bello – quando sulla falsariga del copione dovrebbero darsi alla fuga – facciano esattamente il contrario. «La verità – mi disse sarcastico il capo cheyenne – gli americani di Hollywood non la diranno mai… Dovrebbero ammettere che noi siamo stati sconfitti soltanto quando gli yankees hanno cominciato ad usare le infernali mitragliatrici…».
Va detto che della stesa opinione del generale Custer, del capitano Bourke e di Charles King, sono stati anche i comandanti statunitensi della seconda guerra mondiale. Il Bureau of Indian Affairs in una relazione sulla condotta dei combattenti americani sul Pacifico rese noto che «nessun indiano è stato in guerra mediocre». A riconoscere i meriti dei pellirosse sono stati gli stessi giapponesi. Un generale nipponico ha riferito che «drappelli di pellirosse ci hanno dato più fastidio nelle retrovie degli stessi bombardamenti». I pellirosse erano imbattibili nel decifrare i codici; grazie a un ufficiale che venne battezzato “Parola Misteriosa che viene da Lontano” loro riuscirono a comunicare dalle retrovie giapponesi alle truppe statunitensi quello che i nipponici stavano preparando. «Noi siamo dei combattenti nati», concluse il capo cheyenne con compiaciuto orgoglio. È difficile che un indiano seppellisca nel dimenticatoio i ricordi, sempre risfodera l’orgoglio degli antenati che diedero le nespole a Custer e a Sherman. Sono infatti i pellirosse a limitare, nei rapporti con gli yankees, gli intenerimenti e gli abbandoni. «Come si può essere d’accordo con delle marmotte?». Le marmotte sono ancor oggi, nel Wyoming, i visi-pallidi.
MAURIZIO LIVERANI
*Articolo originariamente pubblicato sul settimanale “TEMPO ILLUSTRATO” del 25 novembre 1964