di Maurizio Liverani
Per chi è pacifista (quando è necessario esserlo) e non lo è quando è costretto ad accettare il peggiore di tutti i mali (la guerra, appunto) può essere utile elencare alcuni punti che mettono sotto accusa (senza assolvere i vari tiranni di questo mondo) gli Stati Uniti; o almeno il sistema politico ed economico che li governa. Ad esempio, il cantante Sprinstein rilevava (pur essendo uno statunitense tutto d’un pezzo) che gli United States non sono più (o non lo sono mai stati come sostiene il drammaturgo tedesco Hochhuth, nemico del Vaticano) una vera democrazia. E’ una oligarchia basata sul potere economico di centoventi grandi famiglie che possiedono l’ottanta per cento del patrimonio nazionale (in Italia sono una ventina). In una situazione del genere non c’è da stupirsi (e in Italia non ce ne stupiamo) che ogni libertà sia soltanto apparente. In particolare, nessuna vera differenza distingue i due grandi partiti politici, il democratico e il repubblicano: sono entrambi strumenti di potere, salvaguardia di interessi economici e di privilegi inveterati. E’ vero che, a parte i plutocrati che si dividono la torta dello Stato, una larga parte della popolazione statunitense vive in un benessere più o meno elevato, costituendo l’esercito della “civiltà dei consumi”, cosa che maschera l’effettiva ingiustizia del sistema; ma non bisogna dimenticare che un quinto della popolazione vive al di sotto di quel livello “minimo”, calcolato dagli stessi organi statali. Mentre trenta milioni di persone campano al peggio, il governo spende per gli armamenti (cioè per l’industria che ha interesse al perpetuarsi periodico delle guerre) quaranta volte ciò che spende per combattere la miseria. L’asservimento indolore (vedi benessere) è il mezzo preferito dalla cricca al potere. Non mancano però gli strumenti di repressione più pesanti o più perfidi, dallo spionaggio a tutti i livelli praticato dalla Cia e dall’Fbi. Tale durezza repressiva si applica su vasta scala. Inutile dire che alle accuse di Sprinstein si aggiunsero quelle dello scrittore Gore Vidal (cugino di Al Gore, candidato dei democratici dopo Clinton) il quale sostenne che quando si arriva alla provocazione di eleggere presidente un uomo come Bush non resta che “rovesciare tutto”. Queste opinioni le condividiamo o no? Non le condividiamo perché altrimenti dovremmo dar ragione a chi ha fatto cadere i due grattacieli a New York. C’è chi sostiene che una guerra è alle porte; quella su scala mondiale è sostituita, per ora, dallo “spezzatino” di tante guerre. Scrive Paolo Mieli sul “Corriere della Sera”: “All’epoca delle primarie il rappresentante della sinistra Bernie Sanders ha atteso l’ultimo momento per rassegnarsi alla candidatura di Hillary Clinton con l’evidente intento di avere qualche settimana in più per meglio imprimere negli elettori più giovani l’immagine di lei come una super privilegiata, imbrogliona e mentitrice”. L’articolo di Mieli reca come sottotitolo questa frase: “Una parte del suo elettorato (di Hillary, ndr) non le perdona di essere una candidata del sistema”. Cita un’attrice famosa la quale accusa “Hillary di aver fatto cose orribili e perfino peggio di Trump”; rincara il regista Oliver Stone: “che la Clinton potrebbe portarci in una vera guerra”. Stando così le cose, un successo di Trump non sarebbe una sorpresa.
Maurizio Liverani