C’E’ SEMPRE UNA PROFEZIA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
 
C’E’ SEMPRE UNA PROFEZIA

L’Apocalisse non è un flagello sprovvisto di senso. A differenza dei nichilisti, Papa Wojtyla contestava qualsiasi alleanza con la calamità: “La fine del mondo” era vista dal Papa come il “nuovo ritorno di Cristo”. Non è, quindi, una maledizione bensì provvidenziale. Non ha nulla di irrazionale, è una forma di comunione con la “patria celeste”, perché, asseriva il Papa santo, “non abbiamo quaggiù una città stabile”; “siamo pellegrini alla ricerca di una dimora definitiva”. Potremmo riflettere su questa profezia; il futuro sarebbe nell’aldilà. Se il problema della salvezza, secondo Wojtyla, è sempre un problema religioso, i credenti sono invitati a vedere nella pandemia la prospettiva di un mondo migliore. L’essere umano “purificato” dal virus sarà circondato di vera trascendenza. Il credente è ansioso di ricevere la conferma delle parole di Wojtyla. La Chiesa potrà conoscere i fasti preannunciati. Al momento non è più sicura di nulla. I suoi “politici” sembrano una combinazione di astuzia e fortuna. In pochi anni, i leader democristiani si sono dimenticati che a fornire loro gli schemi dottrinari, come l’ossatura di un palcoscenico, è stata soltanto la basilica di San Pietro. I padri nobili sopravvissuti alla fine della stagione democristiana sono dei micro-leader. L’ultima spiaggia per il cristianesimo è la profezia di Wojtyla. Papa Francesco presenta un viso apatico; un saggista religioso come Giovanni Papini userebbe il termine “cercante” al posto di un fedele “incerto”. Sono in aumento gli iconoclasti; credenti con un’anima religiosa che spesso pensano alla morte scegliendo la cremazione per non lasciare traccia su questa terra. La Chiesa attuale sembra aver tradotto la dottrina in un fatto di classe, chiusa in una costosa solidarietà che relega la religione in una zona di irresolutezza. Di transfughi dalla fede non ce ne sono; si prega con vuoto automatismo. 
MAURIZIO LIVERANI