CENTO ANNI DI PASOLINI: CONOBBE IL FUTURO.
di Giacomo Carioti
Ho conosciuto Pier Paolo Pasolini. La mia prima intervista la feci a sedici anni, da velleitario redattore del giornale studentesco “La Nuova Voce”.
Riuscii ad avvicinarlo grazie alla pubblicazione, in un precedente numero, di una mia recensione de “Il Vangelo secondo Matteo”. Una recensione certamente ingenua, scritta da un ragazzo appena capace di confrontarsi criticamente con un’opera d’arte cinematografica, per quanto da tempo assiduo frequentatore dei cinema d’essai di Roma. Sta di fatto che quando mandai a Pasolini quella paginetta, gli piacque, ed accettò di essere intervistato.
Negli anni seguenti riuscii a fare professionalmente il giornalista, e tornai più volte ad intervistarlo sulle pagine de “Il Dramma”, all’epoca la più importante rivista di cultura e spettacolo, diretta da Maurizio Liverani. Da una di queste interviste (che pubblicai sotto sintetica forma di “opinione raccolta”, insieme a quella di molti altri personaggi, per una inchiesta sul cinema italiano, e nel corso della quale mi disse, prima ancora di scriverlo, “sul malaffare e sulle stragi io so tutto, ma non ho le prove per dirlo”) nacque in Pasolini l’idea di farne, sulla falsariga, una serie sulle pagine del Corriere della Sera: i famosi “Scritti Corsari”.
La mia ultima intervista, corretta di suo pugno (poiché nel frattempo Pasolini era diventato molto diffidente nei confronti della stampa…), non fu immediatamente pubblicata, poiché, a seguito della sua scomparsa, mi sembrava di mercificare, approfittando mediaticamente del tragico evento. La ripresi anni dopo, pubblicandola integralmente sulla rivista “Machina” da me fondata e diretta.
Questa premessa, fors’anche troppo lunga, non si deve ad un eccesso di egocentrismo, ma serve a spiegare che di Pasolini ho sempre cercato di sapere e di conoscere, non inseguendo solo il personaggio ma cercando di capire soprattutto la persona: anche districandomi con difficoltà nella ingente e multiforme produzione giornalistica e letteraria incentrata sul suo lavoro e sulla sua storia.
Peraltro, con Pasolini non fu sempre un rapporto facile.
Non sopportava che si sollevassero interrogativi di coerenza, per quanto ingenui. Come quando io, ragazzo di famiglia proletaria, gli chiesi, senza malizia, come conciliasse i suoi principi, solidali verso il proletariato, con l’agiatezza sostanziale della propria raggiunta condizione sociale, con il privilegio di poter “vivere da scrittore”. Mi rispose, come una lama: “Tu sei un fascista reazionario”, e proseguì: “Ricordati che tutti i poveri in realtà detestano la loro condizione, ed aspirano ad avere ciò che ho io…”. Al momento non capii, non me ne feci una ragione, e ne soffrii. Ancora ci rifletto, con dubbi irrisolti.
Ho sintetizzato il mio rapporto con Pasolini anche per spiegare il mio atteggiamento verso la vasta letteratura che da sempre lo analizza e -ancor più oggi- lo rievoca, come personaggio e come intellettuale: non posso certo essere un “lettore facile”, e mi accorgo, di fronte alla attuale sovrabbondanza critica e biografica -spesso rimasticata-, di rimanere il più delle volte insoddisfatto e indifferente.
Ma ci può sempre essere una sorpresa dietro l’angolo: l’ho trovata nel recente libro di Marco Trevisan “Pasolini – L’uomo che conosceva il futuro”.
Posso dirlo: è il libro più interessante letto negli ultimi anni, e non solo perché è incentrato su Pasolini. Un libro molto impegnativo, ma proprio per questo appassionante, e totalmente coinvolgente nella condivisione del percorso narrativo impostato dall’Autore.
Concepito come una sorta di diario autobiografico -così ricco di dettagli da far immergere il lettore non in una narrazione ma in un autentico, intimo vissuto…-, anche attraverso la forma di sceneggiatura cinematografica, questo libro riesce a conquistare il cuore, ben oltre la mera esperienza letteraria.
Ho letto una prima volta, e tutto d’un fiato (perché, appunto, il testo scorre come un film di cui non puoi rimandare la visione, devi andare avanti, come il fluire di una vita), il libro di Marco Trevisan, traendone un senso di profonda immedesimazione intellettuale, quasi di condivisione partecipativa. Come stare accanto, e osservare da vicino, la persona raccontata/raccontante: ancor più, immedesimandosi nell’una e nell’altra.
Per me si è trattato di una intensa e sempre più avvolgente lettura: ma soprattutto di una sovrapposta continua rilettura, durata addirittura qualche mese, perchè ha comportato la ri-visitazione e ri-consultazione di molte opere (poesie, romanzi e articoli) di Pasolini, e la ri-visione di molti dei suoi film. Senza contare la minuziosa riscoperta, dopo decenni, di quel Vangelo di Matteo che ha ispirato uno dei suoi film più emblematici: analizzato con spirito investigativo oltre che nel significato umano e religioso, per capire quali contenuti o dettagli avessero così legato la sua essenza alla testimonianza pasoliniana.
Esagerazione maniacale? No, naturale necessità di aderire al profondo stimolo indotto da ogni riga, da ogni pagina di questo libro.
Io penso che su Pasolini ci sia ancora molto da pensare, e da dire, poiché non sempre ciò che si è letto e scritto ha rilasciato valore sul piano della schiettezza, e della sincerità intellettuale. Troppi condizionamenti di contrapposte e frammischiate opinioni hanno, nel tempo, cristallizzato i pregiudizi multidirezionali, alterando uno scenario già di per sé complesso.
Per questo, ho sempre coltivato un disperato timore verso la possibilità di conseguire una corretta interpretazione umana e culturale della esperienza di vita di Pier Paolo Pasolini. Il libro di Marco Trevisan mi ha aperto un nuovo spiraglio di speranza, perché la sua immedesimazione narrativa, tanto nel personaggio quanto nella persona, contiene il germoglio della autenticità e della intrinseca verità.
Non si può che essere riconoscenti a questo autore, per quello che appare come un lavoro di approfondimento davvero immenso, verso un risultato di fondamentale valore.
Nel centenario che ora tutti in vario modo ricordano, il libro di Marco Trevisan si distingue davvero: per l’onestà del contenuto, la completezza dell’informazione, l’efficacia della comunicazione, l’elevata qualità letteraria.
Giacomo Carioti
PASOLINI, L’UOMO CHE CONOSCEVA IL FUTURO
Di Marco Trevisan
Nato a Bologna il 5 marzo del 1922, Pier Paolo Pasolini è stato uno dei più lucidi, originali e influenti intellettuali del secondo dopoguerra e il massimo interprete della nuova Italia repubblicana. Forse la voce di cui oggi si sente maggiormente la mancanza.
Artista poliedrico e controcorrente, le sue opere (film, romanzi, poesie, scritti di critica letteraria e sociale) ancora oggi si impongono per la profondità delle riflessioni sulla società e sull’individuo. Assertore del ruolo attivo dell’intellettuale nella società e dell’idea che la cultura debba incidere sulla realtà affermando dei valori, Pasolini si è distinto per la sua instancabile critica nei confronti della società borghese e del suo dio, il consumismo. Pur essendo di orientamento marxista, ha sempre saputo mantenersi libero e indipendente, guadagnandosi la fama di intellettuale scomodo e spingendosi a criticare come nessun altro i movimenti studenteschi del ’68, da lui accusati di essere l’ipocrita espressione dei figli della borghesia che “giocano a fare la rivoluzione con i soldi di papà”. Espulso dal PCI nel 1949 a causa della sua omosessualità e della sua scarsa ortodossia, non ha mai rinunciato a mettersi in gioco in difesa degli oppressi e delle classi meno abbienti, contro ogni prevaricazione e abuso di potere. Una esistenza, la sua, per molti versi sfrenata, drammatica, tormentata, ma anche gioiosa, condotta sempre pericolosamente e conclusasi nel più tragico dei modi: la mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romane ad Ostia, in un campo incolto in via dell’idroscalo viene ritrovato il suo cadavere martoriato. Seguiranno un processo e una condanna. Ma resterà un mistero mai pienamente risolto. Una biografia umana, spirituale e letteraria, quella di Trevisan, che si legge come un romanzo e che attinge a documenti inediti capaci di gettare nuova luce sulla figura di un intellettuale inarrivabile per passione, coraggio e capacità di leggere negli avvenimenti presenti e futuri.
Marco Trevisan, classe 1966, friulano, è giornalista free-lance e scrittore. Pier Paolo Pasolini, l’uomo che conosceva il futuro prende spunto dalla sua tesi di laurea.
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