di MAURIZIO LIVERANI
Gli italiani fanno presto a stancarsi delle voghe e sono pronti a mettersi contro. Il nostro modo tradizionale e sbrigativo di opporsi a tutte le ipocrisie politiche è sintetizzato nel “ci hanno stufato”. La maggior parte dei registi è stata talmente seppellita nell’idea che la cultura stesse tutta a sinistra che, improvvisamente, dopo le ultime elezioni, questa faccenda dei cineasti schierati a “gauche” si rivela una grossolana fanfaluca. I nuovi governanti rifiuteranno le sovvenzioni o lasceranno le cose come stanno? La cultura dovrebbe, finalmente, liberarsi dalle contaminazioni dei partiti; il governo sarà di questo avviso? Rispettando lo “status quo”, la cultura cinematografica resterebbe quella che è sempre stata in Italia: cortigiana dei ras della politica. La novità potrebbe essere questa: che il cinema possa riacquistare il suo fascino liberandosi dai condizionamenti inevitabili con le sovvenzioni. “Solo il farnetico è certezza”; il precetto di Eugenio Montale è, oggi, più attuale perché ci si può insediare nei centri di potere in modo farnetico e distrarre gli italiani con grande verve ideologica. E’ questa la sola strada, per il cinema e la cultura in genere, praticabile in uno Stato libero. E’ un’operazione enorme che prelude all’emarginazione dei registi, dei produttori, di tutte quelle masse che si erano schierate, per tornaconto, con il partito di sinistra con il suo carico di convergenze clericali per arpionare socialisti, liberali, socialdemocratici; tutta la vasta area dei politici che avevano già realizzato, nel loro intelletto, il compromesso storico (oggi ripudiato?). I registi si battono nell’attaccamento alle “elemosine” di Stato; la sola prospettiva che cessino getta nel panico chi ha fruito di questi vantaggi. “A voli troppo alti e repentini / sogliono i precipizi esser vicini”. E’ del Tasso, ma riecheggia nella battaglia che si annuncia. Nell’interesse dell’Erario sarebbe necessaria una maramalda pugnalata agli aiuti pubblici. Il cinema potrebbe vivere di prestiti da rendere dopo aver compiuto il ciclo di proiezioni. C’è, però, un rischio: se il ciclo delude? E’ un problema che va affrontato senza livore politico e risentimenti tattici. Una disputa è annunciata: chi è contro le sovvenzioni e chi è a favore. Nell’interesse del cinema di qualità si dovrà affrontare una discussione leale e deologizzata. Forse l’occasione buona per ridare vitalità a una cinematografia in crisi.
MAURIZIO LIVERANI