COMICITA’ CONTAGIOSA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

COMICITA’ CONTAGIOSA

La televisione ha imposto all’ironia una mortificazione bruciante per chi ha assaporato quella di Achille Campanile, di Marcello Marchesi, di Giovannino Guareschi, per non parlare di Ennio Flaiano, di Mino Maccari, di Leo Longanesi. “Aiutiamo i benestanti”, sentenziava amareggiato Maccari, “ci sono già troppi poveri”. E aggiungeva: “Dagli il voto ma non la mano”. Incalzava Flaiano: “Dio è morto, Marx è morto, e anch’io non mi sento tanto bene”. Un comico vero era Ettore Petrolini, l’autore di “Gastone” e di tante altre macchiette. Arrivava a irridere anche Benito Mussolini, al cospetto del quale, nel salone di Palazzo Venezia, rifaceva la stessa gag derisoria recitata a teatro. Benito aveva un grande rispetto per chi lo colpiva con gli strali dell’ironia. Ricordiamo che quando si presentò a Gabriele D’Annunzio al Vittoriale, gli rivolse questo saluto: “Salve fante alato!”. Il vate gli rispose: “Entra lesto fante!”. Gli storici affermano che D’Annunzio era destinato a diventare il Duce degli italiani, ma, per la sua smania di spendere, si rivolgeva a Mussolini il quale lo  locupletava di moneta sonante spegnendo le sue ambizioni. Anche Longanesi si spinse a forgiare questo motto: “Mussolini ha sempre ragione!”. Il Duce prese la palla al balzo e, invece di mandare Longanesi al confine, se lo fece amico e adottò come slogan del regime la battuta ironica. Oggi nel riso c’è sempre qualcosa di basso, di troppo contingente che spegne l’ironia. Il vero umorista comincia con il prendere in giro se stesso. Chaplin, Tati, Totò hanno un’ironia innata, non offendono, non irritano. L’insulto degli attuali comici sopperisce alla mancanza di talento. Un comico vero era Paolo Poli, incline al sarcasmo ma non irsuto nelle espressioni, nell’affrontare i personaggi. Il vero ironista sa controllarsi e dirigersi; l’impeto scenico si accompagna, come faceva Massimo Troisi, a un’arguzia elegante. Poli non cedette mai all’errore di mettersi in mostra; non si riteneva qualcosa di essenziale per tutti gli spettatori. Rappresenta un capitolo a parte nella comicità italiana; nel suo far sorridere non c’è mai nulla di grezzo. Le apostrofi cervellotiche erano creazioni; era in esse un controllo, un freno all’invettiva e, insieme, una dedizione all’intelligenza. Ora, mentre sta anemizzandosi l’umorismo politico “sovvenzionato”, Paolo Poli avrebbe tutte le atout per rinnovare la satira, la canzonatura e l’ironia. Per gli odierni giullari del piccolo schermo l’ideologia non si può rinnegare e nemmeno discutere. “L’arco costituzionale – scriveva Flaiano – non ci ama”.

MAURIZIO LIVERANI