di Barbara Soffici
Numerosi sono i crimini impuniti nella storia. Tra i più vergognosi e atroci c’è senz’altro la “sparizione forzata” dei dissidenti politici (o ritenuti tali) che continua a riproporsi anche oggi, in vari Paesi, nonostante questo fenomeno sia ormai, da tempo, riconosciuto come un “crimine contro l’umanità”. Tipico dei regimi dittatoriali militari, adoperato per ingenerare un clima di terrore diffuso sulla popolazione e scoraggiare così ogni possibile resistenza, il “sistema di sparizione forzata” si è sviluppato in tanti momenti storici e in tutti i Continenti, sebbene spesso vengano ricordati solo i casi della Spagna franchista, del Guatemala, del Paraguay, del Brasile, del Nicaragua, dell’Iraq di Saddam Hussein, della Libia di Gheddafi, del Cile di Pinochet e, in modo particolare, dell’Argentina di Videla, dove il problema dei “Desaparecidos”, degli “scomparsi”, è stato evidenziato dalla coraggiosa protesta delle cosiddette “Madri della Plaza de Mayo”, di quelle donne, madri, figlie, sorelle e spose, che si sono raccolte, tutti i giovedì di ogni settimana, di fronte al palazzo del governo per ottenere informazioni e poi giustizia per la sorte dei loro congiunti. Grazie a questa protesta pacifica le “sparizioni” sono state portate a conoscenza dell’opinione pubblica e, di conseguenza, tutte le atrocità commesse, morti, torture e stupri, sono alla fine venute alla luce. Le indagini compiute dopo la restaurazione della democrazia parlamentare e le numerose testimonianze hanno consentito di conoscere nei particolari la modalità dei sequestri, delle detenzioni illegali e clandestine, delle torture e dei cosiddetti “voli della morte” avvenuti dal 1976 al 1983, hanno riportato alla ribalta la ormai tristemente nota “Notte delle matite spezzate”, la repressione organizzata di quei studenti (per la maggior parte minorenni) che manifestavano per l’abolizione del tesserino studentesco che permetteva sconti sui testi e sui trasporti (settembre 1976), hanno evidenziato il dramma di quelle famiglie che, dopo 40 anni, ancora tentano non solo di ritrovare i propri cari scomparsi, ma anche i bambini frutto della violenza, degli stupri, i bambini separati alla nascita dalle madri (spesso uccise) e affidati illegalmente in adozione a famiglie fedeli al regime. Gli studi antropologici hanno reso evidente che le “sparizioni forzate” non sono mai state frutto del caso, ma sono state invece programmate meticolosamente per eliminare un’intera generazione che, ancora infervorata dalle gesta di Ernesto Che Guevara (morto in Bolivia nel 1967), avrebbe potuto ribellarsi e sovvertire l’ordine precostituito. Sebbene la “sparizione forzata” ha assunto connotati diversi a seconda dei Paesi dove è stata praticata, manifestandosi sia con arresti e sparizioni di massa (Cile), sia con rapimenti, con sequestri individuali messi in atto da squadre non ufficiali della polizia o dell’esercito (Argentina), è stata sempre rivolta nei confronti di specifiche fasce di popolazione. Non è un caso che tra i “desaparecidos” risulti un numero importante di insegnanti, di intellettuali, di studenti, di attivisti politici e sindacali. Alla luce di queste considerazioni è facile intuire i luoghi dove, ancora oggi, “la politica del terrore” è riproposta al fine di scoraggiare chi lotta per i diritti civili e sociali; è chiaro come “l’atroce sistema di sequestro e di tortura” possa essere adoperato anche nei confronti di chi, straniero, indaga, come ha fatto il povero Giulio Regeni (sull’evoluzione dei sindacati e del diritto dei lavoratori), là dove non si deve sollevare la coltre del silenzio.
Barbara Soffici