di Maurizio Liverani
Nella trasmissione “In onda”, Antonio Di Pietro si è presentato come una personcina a modo. Prima di questa apparizione con lui anche un obitorio poteva apparirci un prato fiorito. Ed ecco le ragioni del cambiamento: l’ex pm ha fatto intendere che quando all’inizio dei lavori per il Giubileo lo si voleva immagazzinare nel ministero dei Lavori Pubblici, subito percepì di essere in procinto di cadere in un gioco infernale, condotto da un lato dalla Santa Sede e dall’altro da impresari edili, “calce e martello”, palazzinari “biancofiore” che aspiravano a una riedizione del “sacco di Roma”. Tutta gente felice per l’Anno Santo; le loro convinzioni coincidevano con gli interessi del momento. Annusato il vento e orientata la navicella sulla rotta favorevole, Di Pietro si ricordò in tempo che il ruolo assegnatogli era quello di essere un “uomo tutto d’un pezzo” e, in vista di “giubileopoli”, “s’è dato”, come dicono a Roma. Non aveva intenzione di prendere malversatori con le mani nel sacco; tentazione alla quale non avrebbe poteva sottrarsi se fosse rimasto a quel ministero. Insediandosi in una poltrona così prestigiosa voleva sfruttare, così annunciò, il Giubileo per rendere la Capitale una città europea, meno “papista”; un nuovo “sacco” di Roma non lo avrebbe tollerato. Con lui in quel ministero (affidato poi a Bordon), Roma da “caput mundi” non si sarebbe mai trasformata in “cauda mundi”. La città che oggi, invece, in virtù del grillismo è diventata. Si illudeva di padroneggiare la situazione, suscitando non pochi allarmi nei suoi colleghi i quali temevano che potesse essere il plenipotenziario degli anti-palazzinari, di chi si oppone allo sperpero di denaro pubblico; quello che è avvenuto con le fragili costruzioni che crollano al minimo vibrare di terremoto. Nel suo modo di comportarsi da “moralizzatore” molti videro un prepotente divismo. Non occorrono particolari occhi per accorgersi dello sfacelo urbano portato avanti da tutti i sindaci di Roma dal dopoguerra. Responsabili di questo scadimento della città, i politici hanno avuto interesse a tacere; scagliandosi, però, con isterismo e rabbia contro chi li ha lasciati fare in santa pace. E’ sorta, non da ora, una comunità di nauseati che odiano questa società in cui i politici fanno risuonare l’importanza dei principi come “cocco fresco”. I “cattivi maestri”, provvisti di furbizia ma non di genio, sono i colpevoli di questa Italia terremotata e terremotabile. Oggi, Di Pietro può atteggiarsi a nemico di ogni eleganza intellettuale, ma può svettare su tutti come “scarpe grosse e cervello fino”.
Maurizio Liverani