di MAURIZIO LIVERANI
DIFFICILE RINASCITA DI UNA NAZIONE
Fino a poco tempo fa a presidiare il governo, cioè, ad avere in pugno il potere erano personalità attinte dalle classi colte, agiate, privilegiate, premiate soprattutto all’estero. Se a tutto questo aggiungete un’aria un po’ aristocratica si poteva avere la certezza di trovare, dopo accanite schermaglie, un politico di destra o di sinistra – fa lo stesso – cui conferire l’aureola di primo ministro. Il concetto di ricchezza e di nobiltà è sempre stato trionfante nel nostro Paese. Con questa fedina, sul prescelto poteva anche aleggiare il sospetto di evasore. La grandezza, in questo caso, diventava più luciferina. E’ una caratteristica dell’italiano quella di conferire capacità a chi è vincente sul fronte dell’evasione; al gran borghese che parcheggia la sua ricchezza in vari paradisi fiscali. Un tempo questo prestigio si otteneva con un semplice distintivo, un’entità astratta, ma che conferiva visibilità fino al punto di promuovere il titolare a presidente; sì, sì, proprio a presidente della Repubblica. Separato dall’uomo qualunque, toccava vette finanziarie e politiche. Basta prendere la storia di un industriale coraggioso per assegnargli possibilità di salire al vertice del Paese. Quasi inavvertitamente si è fatta strada la preferenza per il piccolo borghese con buoni studi, assidua attività politica nelle periferie e nelle contrade più lontane. Chi non sposando ricchezze, ma ideologie alla moda si inseriva nell’agone politico toccando il rango di potente. Il primo a descrivere questa mutazione è stato Massimo Bontempelli il quale scriveva: “Il danaro non è soltanto una forza, è un virtù, è il compendio e la sublimazione di tutte le altre virtù che fanno l’uomo degno dei suoi divini destini”. Scriveva: “Non riesco ad aver stima di coloro che non dispongono di molto danaro per la vita di ogni giorno”. Lo scrittore lo afferma nella sua “Avventura novecentesca”. A questa affermazione ne aggiunse un’altra che fece scalpore, ma irritò i benestanti carrieristi. Questa: “La miseria è una forza sovversiva”. Tra chi stava entrando nel giro spuntò il capopopolo che tutti oggi biasimiamo, ma che iniettò, per un ventennio, l’illusione della grandezza e della solennità. Questa lunga introduzione per dire che gli italiani “sognano” come unico approdo della loro vita la ricchezza. Chi raggiunse questo traguardo, nel dopoguerra, si fregiò del titolo di barone, riconoscimento che è sopravvissuto come presa in giro perché il concetto di ricchezza è trionfante soltanto nel sottobosco finanziario. Sembrerebbe una conquista, ma in Italia sin dall’Unità il potere è in mano alla mafia, all’andrangheta che hanno corrotto quelli che sembravano incorruttibilmente ricchi. Mentre il prestigio di ricco perde ogni incanto al punto di sottrarsi alla notorietà. Siamo una democrazia capitalista governata da potenti camuffati che, battendo strade diverse, mirano a uno stesso obiettivo: dare un carattere politico e democratico a un Paese che non lo ha mai avuto. Se non si trova una soluzione pacifica, l’Italia rischia di “decomporsi”.
MAURIZIO LIVERANI