di Maurizio Liverani
Il 14 luglio 1948, settant’anni fa, è una data importante per la storia italiana. Il segretario del partito comunista fu vittima di un attentato all’uscita da Montecitorio da parte di Antonio Pallante. L’avvenimento avrebbe potuto avere conseguenze assai gravi arrivando al limite della guerra civile. Non pochi comunisti aspettavano l’occasione per mettere a ferro e fuoco il Paese mirando a instaurare un governo marxista. Dalla clinica dove era stato salvato, Togliatti invitò i compagni a non inscenare alcuna insurrezione rivoluzionaria. Tutti obbedirono alle sollecitazioni del Migliore. Ancora oggi ci si domanda quale fosse la ragione che lo indusse a non tradurre l’attentato in un pretesto per tentare di conquistare il potere. Ci sono diverse interpretazioni di questa cautela. La prima, e forse la più importante, è che l’Unione Sovietica non aveva alcun interesse a scatenare un conflitto in Italia che, secondo gli accordi di Yalta, doveva rimanere nell’orbita occidentale e l’Urss non era in grado di venire in aiuto dei comunisti italiani. Poteva al massimo foraggiare il Partito; cospicuo obolo che venne soppresso con la caduta del Muro. Da questo momento il grande capitale, per mantenere nel Paese lo status quo, si sostituì nel sovvenzionare il Pci. Il famoso inciucio strisciante cominciò a irrobustirsi in quegli anni e l’Italia entrò definitivamente nell’orbita delle nazioni più democratiche. Il partito prese a irradiare intorno a sé un odore di indipendenza, non indispettito dal sospetto di essere al soldo del grande capitale. Arriviamo a Silvio Berlusconi, industriale curato nella persona con quella distinzione che Oscar Wilde indica come “il dono naturale delle anime delicate”. Nelle apparizioni televisive non si era più troppo barricadieri per non allarmare i benpensanti nel tepore delle loro case. Si riaffermò la famosa sentenza di Raymond Aron secondo la quale tutte le strade portano al socialismo tranne quella comunista. Ora siamo nella fase in cui i comunisti “andati a male” possono scambiare il Pd come l’epifania di un moderno partito socialdemocratico. La fase apartitica che stiamo attraversando favorisce le formazioni non ideologiche come dimostra l’ascesa enfatizzata del M5s, stampella della Lega.
Maurizio Liverani