di Maurizio Liverani
“Se una donna vuole accaparrarsi un uomo non ha che da fare appello a tutto quello che in lui vi è di peggiore”, scrive Oscar Wilde e aggiunge: “Non vi è degradazione del corpo che non debba contribuire a una spiritualizzazione dell’anima”. Le tante attrici che sono state fatte oggetto delle brame dei grandi produttori giù giù fino ai più piccoli registi avranno dilapidato la loro integrità sessuale, ma potrebbero anche rallegrarsi per aver raggiunto, attraverso atti brutali, una sorta di elevazione. Alcune di queste brutalizzate di lusso hanno confidato di aver toccato le più remote zone del desiderio, altre di avere la sensazione di essere sottratte al nulla ed essere più pronte ad avanzare nel tumulto della vita. Questa cognizione del dolore conosciuta attraverso la conoscenza carnale può ripugnare alcune, ma salvare dall’angoscia altre. Quante donne avvenenti abbiamo visto inseguire l’estate in ogni angolo del mondo distese sulla sabbia con costumini risucchiati nel solco di pesca, la mente piena di ricordi e fantasie che si lasciano “sodomizzare” dal sole? Molte tra quelle che acclamano, a distanza di anni, l’affronto subito, sognano di essere desiderate oltre ogni limite. Le più spiritose si adocchiano allo specchio con aria di apprezzamento. Chi ha scritto che “l’unico ponte sull’abisso sarà il fallo?”. Nei racconti si deplora lo stupro, ma con abbondanza di particolari, ricordandosi di essersi lasciate abbracciare inerti e docili perché, volenti o nolenti, l’ arrendevolezza si trovava al loro fianco. Pare che il tanto bau bau hollywoodiano apprezzasse della vittima molti suoi sentimenti; mentre lei si offriva con spavento, il padrone impiantava con brutalità il suo “roncone”, come lo chiama l’Aretino, nel catechismo virginale, si fa per dire, magari recitando trafelato Spinosa: “Rendi il tuo corpo capace di compiere molte cose; questo ti aiuterà a perfezionare la mente”. Non tutti i bruti fanno appello alla loro virulenta maschilità; si avventurano nel “fosso ristorativo”, dice l’Aretino, entrando in una sfera emotiva che coinvolga lei, “consenziente o non consenziente”. C’è un’evoluzione nel bruto come nelle epidemie; si nutre di sesso perché è uno sgobbone, con una velocità da gara. Allo stupratore, come all’uomo normale, viene sempre lo sconforto genitale dopo l’atto che cancella la lavagna dei suoi sogni. Anche in uno stupratore albeggia, da quel momento, un tenace rancore verso la donna sentendosi asservito sessualmente; dopo essere stato satrapo per un attimo, non si sente più proprietario di se stesso E’ stupratore chi crede di aver bisogno sempre di un altro genere di vestale. I fatti riportati in questi giorni parlano di costrizione, di violenza pur di impossessarsi del corpo. Ci sono stupratori che hanno successo perché si atteggiano a ultra sensitivi, altri non attendono di attirare l’attenzione della donna, sempre considerandola dipendente da loro. In quel momento, durante quell’atto, misurano con acredine la loro superiorità. Nessuna sofferenza di cuore, ma semplice possesso, senza amore. Poi ci sono i vagheggini di fronte ai quali alcune affascinanti signore si sentono subissate di elogi che poi scompaiono per sempre. Quando l’ossessione costringe la donna alla sottomissione, all’offerta passiva, il bruto non può e non vuole appassionarsi a un altro essere. La donna non conta quasi nulla o addirittura nulla per chi vuole mantenersi tenacemente sul terreno dell’erotismo integrale, al posto del sentimento subentra il fastidio. Lo stupratore ha solo bisogno di saziare la propria ingordigia, non vuole sacrificarsi per fedeltà, dedizione, generosità. E’ il nemico principale della cosiddetta coppia.
Maurizio Liverani