E’ da oltre cinquant’anni che Romano Prodi è considerato un “astro nascente”. Chi gli era ostile metteva in risalto come il suo spiritualismo fosse sì irreprensibile ma avesse troppo il sapore di erotismo casalingo e di greppia di Stato. Tuttavia a molti piaceva tanto da accordargli particolari virtù manageriali, pur attribuendogli i nostri vizi. In poche parole, umanizzato finiva con l’assomigliarci: nessuno dei nostri difetti gli è estraneo. Ma lo sviluppo del trasformismo mutò i piani e lo spinse lontano. Il trasformismo più che un vizio è una virtù della politica italiana. Prodi, come Silvio Berlusconi e tanti altri, non sente su di sé le stigmate del divino; può disfarsi delle sue convinzioni e, per rispetto delle buone maniere, dà anche le sue belle spiegazioni. Non vuol coinvolgere un dogma con la politica che tutti ripetono, stancamente, essere “l’arte del possibile”. E’ possibile che Prodi declamizzi il suo “sì” al prossimo referendum perché, sostiene, i tempi cambiano e bisogna modernizzare il Paese. Quindi, improvvisamente, si propone come un modello della democrazia “in evoluzione”. La verità sussurrata nei meandri di Montecitorio è che abbia voluto indispettire Berlusconi il quale, nel volgere di pochi mesi, è passato dal “sì” al “no” sui soliti ben tracciati solchi del trasformismo e sui quali gettano le loro sementi quanti dicono che la “politica è sporca” o quanti vogliono esasperarci con le loro eterne indignazioni; quelle indignazioni noiose e insistenti come le mosche, con le quali si dilettano i moralisti. Prodi approda di colpo alla retorica del nuovo; della storia che non può tornare indietro e si oppone, inaspettatamente, alla retorica del rimpianto della vecchia Costituzione che in settant’anni ha portato sull’orlo del disastro la nazione. Intanto è sorta, non da oggi, una comunità di nauseati, in cui i politici fanno risuonare l’importanza dei principi come cocco fresco. Berlusconi si adegua a questo “fregolismo” con scarsa convinzione, elogiando in tv le qualità di Matteo Renzi cui riconosce le risorse per dirigere “L’isola dei famosi”, non potendolo accusare di fascismo. Tutto sembra svolgersi secondo i desideri di Renzi che parla fuori dei denti e, data la giovane età, può asserire che c’è un limite alla passività degli italiani verso i “padroni del vapore”.
Maurizio Liverani