di MAURIZIO LIVERANI
Quando si parla di decadenza italiana bisognerebbe tener conto dell’impossibilità di manifestare un pensiero originale a causa di numerosi censori. Bisogna partire ancora una volta da “Roma città aperta” alla fine del ’45 che, quando apparve sullo schermo, ebbe una fredda accoglienza giustificata dall’esiguo spazio disponibile sui giornali; a molti spettatori il film sfuggì. Dalla Francia rimbalzarono giudizi entusiastici e l’opera entrò nella leggenda. Quando uscì “La dolce vita” la stampa, soprattutto cattolica, rimproverò Fellini di voler deviare, sospinto dall’”odiato” Flaiano, il discorso neorealista verso il soggettivismo. L’astiosa avversione dell’intellettualità italiana fu riassunta da Flaiano in questo modo: “L’arco costituzionale non ci ama”. I “maestri” della censura sono sempre all’erta; si aggiungono quelli che lesinano le sovvenzioni statali ai film e ai libri che non piacciono ai potenti. Ci sono tanti personaggi che esercitano la funzione dei cecchini. Questi “impallinatori” colpiscono con il loro “schioppo” l’autore “scomodo”. Quando si diventa “imbarazzanti” al livello di Pasolini, i poteri possono arrivare ad approvare la sua eliminazione. Di qui il sospetto che l’autore de “Le ceneri di Gramsci” sia stato ucciso da chi deteneva il potere politico-letterario. Questa tutela esisterebbe da anni; non si fida abbastanza della censura ufficiale che è diventata un po’ più tollerante. Ciò che raccontiamo è una delle tante forme non legiferate, ma affidate alla simpatia politica. E’ una forma occulta di censura. La più vistosa è stata quella che ha lasciato, invece, accordare migliaia di euro a un film come quello dedicato al bandito Vallanzasca al quale era stata accordata la possibilità di essere proiettato, con gran scandalo, in televisione. Lo spettatore attraverso il piccolo schermo può stimare le predilezioni e le avversioni politiche verso questo o quel film. Possiamo, dunque, dire che in Italia lo spettatore interessato alla cinematografia, concorre con il contributo statale, alla realizzazione dei film che può vedere nelle sale pagando il biglietto. Un metodo truffaldino che scadenti autori pretendono sopravviva. Ci sono, oggi, altre vie per vedere film che hanno fatto arricciare il naso alla censura. Forse se questa offerta di nuovi mezzi si allargasse, anche con gli stessi ideali ridotti ormai a dogma, sarebbe possibile ritrovare fiducia nel futuro e slanci di speranza. La festa del cinema può avvenire con una maggiore libertà espressiva. Ora che si è chiarita la universalizzazione della colpevolezza, possono aprirsi nuovi scenari.
MAURIZIO LIVERANI