di MAURIZIO LIVERANI
Per non apparire un mite sottopancia degli altri due “premier”, Giuseppe Conte si è deciso di fare di testa sua, dimenticando di essere stato messo lì come “mezza calzetta”. Recita per conto proprio la commedia dell’uomo capace di colpi di testa, stanco di essere, inspiegabilmente, considerato contingente. La sua sola preoccupazione è di essere approvato dal presidente della Repubblica. La protezione del presidente è, per lui, un tonico; gli dà la consapevolezza che c’è un tetto sul suo capo. Nelle provette delle sue elucubrazioni ha scoperto che dei tre leader è il più bravo. Di Maio e Salvini pensavano di servirsi di lui per divulgare le loro idee. Gli ex fascisti non si riconoscono in lui proprio nel momento in cui attendevano che a calcare la scena come protagonista fosse uno di loro. Il tatticismo di Conte non è legato a nessuna strategia; più passano i giorni e più si accredita come politico autenticamente democratico. Di lui si dice: è un politico onesto. Il suo divismo non è mai entrato nell’epica degli scandali in un Paese dove l’indizio di reato conferisce, anche a una nullità politica, perspicacia. Per iperbolizzarsi nel mondo parlamentare qualcosa di oscuro, di sospetto il politico deve averlo alle spalle. Atteggiandosi a liberale Conte è riuscito a presentarsi come vessillifero di una ideologia che anticipa tempi nuovi. Volendo accreditarsi verso tutte le direzioni democratiche, a sinistra, a destra, al centro, ha orientato il suo pappafico ideologico verso un solo approdo: quello patriottico. Questa è la sua sostanza spirituale; il solo modo di guadagnarsi uomini e provincie. I notabili di governo si ostinano a darsi una fedina tinta un po’ di rosso e un po’ di nero, segno che sono avidi di potere. Atteggiamento equivoco che denuncia, indirettamente, la loro doppiezza.
MAURIZIO LIVERANI