di Maurizio Liverani
C’è l’ex comunista e c’è l’ex stalinista. Per nostra disgrazia, il Paese ha più ex della seconda specie. Questi si riconoscono il diritto di sbagliare, non una, ma due, tre volte. Nell’ultimo congresso del Pds (oggi Pd) si era venuti a conoscenza del coraggio di Palmiro Togliatti, tenuto gelosamente nascosto per anni. Al Migliore è stata rivendicata la scelta liberale, conversione avvenuta esattamente nel 1953, alla morte di Stalin. Perché si è atteso tanto tempo a dare la notizia? La risposta è semplice: oggi non si incorre in alcun rischio. Gli intrepidi stalinisti diventano tali quando il pericolo è cessato. Antonello Trombadori sfoderò, pochi anni prima di morire, un dissenso risalente al 1956: il salvataggio dello scrittore magiaro Tibor Dery, “spalla” di Imre Nagy, “primadonna” dell’insurrezione ungherese, impiccato nel ’58 dopo un processo farsa con il consenso del “liberale” (che evidentemente non sapeva ancora di esserlo) Palmiro Togliatti. L’autocritica è valida per l’ex se avviene “fuori tempo massimo”. E’ un modo che tutta la stampa confindustriale ammira per autoassolversi da tantissime colpe. Il Pci divenne Pds e poi Ds quando il cospicuo obolo sovietico non è più giunto da “Mosca la rimbambita”, come il surrealista André Breton battezzò la capitale sovietica ai tempi di Stalin. Le privatizzazioni si fanno con il contagocce e male, cioè camuffate; la spartizione del “cocco fresco” statale è un giochetto cui non si può rinunciare in aggiunta al sovvenzionamento pubblico dei partiti. Le frange minoritarie dei comunisti cominciarono a inveire contro D’Alema che sposava la formula del “cinismo al potere”. Per essere “a la page”, l’ex stalinista dimostrava uno straordinario talento crisistico o crisaiolo. Ed ecco spuntare il “pessimismo dell’intelligenza e il coraggio della volontà”. Formula magica per tenersi saldi al potere spregiudicatamente. L’importante è tutelare lo “status quo”. Per reggersi sulle stampelle della loro straordinaria inconcludenza hanno un solo pretesto: il pericolo della destra, nemica dello stato sociale e amica dello stato selvaggio del libero mercato. Frédéric Bastiat, economista francese, morto e sepolto a Roma, fautore del libero scambismo, ha lasciato scritto: “Lo stato sociale è la grande finzione in cui tutti cercano di vivere a spese degli altri”. Se non è proprio così, oggi, in Italia, siamo sul punto di dargli ragione. Il compagno “crisaiolo” di fronte all’evidenza si dà in pasto ai turbamenti di coscienza. Si scopre e si riconosce un compito affrontato con diligenza e svolto con tempismo: quello dell’intellettuale in crisi. I partiti nati dal frazionismo della sinistra hanno stabilito che ci siano alcuni volonterosi che si addossano, di propria iniziativa, l’incarico di rappresentare coscienze inquiete, di tenersi perennemente in tensione. E’ il modo scelto dal Pd per affermare la “funzione egemonica” del partito su tutto. Il consenso e il dissenso sono anch’essi egemonizzati. La stampa, di queste faccende, finge di non saper niente; si sveglia soltanto quando da altre contrade ci si rende conto di quante intellettualità sono state annullate nel magma della sinistra. La destra che cosa ha fatto per contrastare questa egemonia di sinistra? Non che abbia sbagliato: ha semplicemente saltato il problema.
Maurizio Liverani