di Maurizio Liverani
Antonio Bassolino si è improvvisamente accorto che nessuno parlava di lui e che nel partito è considerato un “figura preistorica”. Qualcuno gli ha fatto capire che nel Pd si sta preparando la riscossa di quelli della “vecchia guardia”. A sessantotto anni si è ridestata in lui la volontà di primeggiare soprattutto in Campania dove anche le scartine del Pci scalano i primi posti. Bassolino è stato ministro, lasciando un ricordo di un onorevole sbiadito ma battagliero. Si è presentato senza essere stato invitato a correre il palio per diventare sindaco. Bocciato, si è risentito al punto che ha dato in escandescenze. Dopo aver minacciato tutta la classe politica è passato all’azione. Si è inargentato ancor più i capelli e si è posto nuovamente nel solco della storia partenopea, con lo stesso slancio di un tempo, quando ha cercato di porsi al vertice dell’Ulivo del sud. In un momento di bassa marea intellettuale chi meglio di lui può incarnare “il nuovo”. Respinto, non si è rinchiuso in un silenzio accigliato, ma ha cominciato a lanciare accuse che mettono in gran subbuglio il partito. E’ della stoffa dei “mammasantissima” che tirano sempre la cordicella della vanità, attribuendosi meriti alla maniera dei combattenti indomiti. Per difendersi dai contestatori sgradevoli ha dato una spallata anche all’attuale sindaco di Napoli. Ancora un po’ si sarebbe passati all’azione violenta. La tetra tigre “falce e martello” non si arrende mai. In questo momento di incertezza il Pd, che agisce in chiave pacificatrice, si trova improvvisamente “in casa” un incendiario che accusa i vertici di averlo sabotato e addita il segretario capo di governo di essere un leader che addormenta il proprio elettorato. Nessuna abiura, soltanto una sequela di insulti secondo lo stile comunista. E’ la sola via che Bassolino conosce per darsi un alone di capo. Non è mai troppo tardi.
Maurizio Liverani