di Barbara Soffici
L’esito finale del referendum sulle trivelle con il mancato raggiungimento del quorum ha dimostrato, ancora una volta, inesorabilmente, il totale disinteresse della maggior parte degli italiani per il futuro, per la difesa dell’ambiente, per le vicende che investono il governo e la politica italiana: guarda caso l’affluenza dei votanti è stata, infatti, maggiore solo in quelle zone dove il problema è chiaramente tangibile e quindi sentito. La consultazione, a differenza di quello che speravano le opposizioni, non ha costituito “un importante segnale politico”, non ha avuto valenza contro il governo. Anzi, in modo indiretto, lo ha rinvigorito. Di fatto l’esecutivo non solo è uscito indenne, per l’ennesima volta, dal complicato “banco di prova”, ma ne è uscito anche più consapevole delle “forze” contro cui si dovrà scontrare in autunno. Ritemprato dal risultato ottenuto il premier, subito dopo la chiusura dei seggi, ha attaccato duramente le regioni promotrici, ribadendo il concetto che la “demagogia non paga”, e ricordando proprio quell’appuntamento del referendum costituzionale (fissato per ottobre) che, oltre a ridurre gli stipendi dei consiglieri regionali e sopprimere Cnel e Province, darà il giro di volta agli equilibri tra Stato ed amministrazioni locali. La riforma del Titolo V riporterà infatti, sotto la competenza statale, molte materie come i beni culturali e il turismo, le infrastrutture strategiche, le reti di trasporto e di navigazione, le politiche industriali ed energetiche che erano state delegate alle regioni che, spesso, hanno dimostrato di essere inefficienti e spesso hanno accresciuto il debito pubblico. A conti fatti, il referendum anti-trivelle si è rivelato dunque, come ha commentato Berlusconi, solo “una grande perdita di tempo e di soldi”. Anche dopo che le mozioni di sfiducia delle opposizioni sul caso “petroli” sono state respinte a larga maggioranza, le polemiche continuano ad impazzare, sia sull’ormai evidente errore commesso nell’assegnare una valenza politica a un voto che aveva un diverso merito, sia “sull’aperta propaganda per l’astensionismo” esercitata dal premier coadiuvato dal “deus ex machina” Giorgio Napolitano. I due, puntando tutto sull’apatia civile che da tempo investe la nostra democrazia, si stanno già preparando ad elaborare una strategia per far passare insieme l’abolizione del bicameralismo perfetto (su cui quasi tutti sono concordi) e la costruzione di un nuovo Senato non elettivo (composto da consiglieri comunali e regionali); questa riforma del Senato abbinata all’Italicum, alla legge elettorale, così come è concepita oggi, secondo molti, potrebbe aprire le porte a una più evidente “deriva autoritaria”.
Barbara Soffici