ESSERE O AVERE

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

ESSERE O AVERE

Aldo Moro diceva che l’Italia è un “agglomerato di avidità e di incultura”. Si sbagliava. I suoi estimatori ed eredi hanno fatto tesoro di questa definizione. Per esempio, Matteo Renzi ha cercato di cambiare il Paese parlando direttamente al volgo senza passare attraverso i convegni, i monasteri di periferia o incontri sulle montagne di saragattiana memoria. La stima che ancora gode negli italiani nasce dall’essersi distinto per il suo atteggiamento incline alla conciliazione tra destra e sinistra, emendando i partiti da ogni risentimento che tuttora anima i nostalgici delle “virtù esplosive della guerra civile”.  I “polverizzatori” si annidano nelle reti televisive dove non riescono a liberarsi dalla tentazione dell’odio; basta inveire, urlare, partire lancia in resta per sentirsi approvati dall’opinione pubblica.

Un proverbio caro al potere dice che “L’essere sta nell’avere”. E’ di Giuseppe Giusti; “Leggilo prima che sia proibito”, scrive Mino Maccari in “Con irriverenza parlando”. Se “l’essere sta nell’avere” il politico, al pari dell’antipolitico, sfrutta questo sillogismo che un’azienda privata non approverebbe mai come principio.

Gli italiani non sanno che farsene delle ammuffite diatribe destra e sinistra. Non sanno che farsene degli sdruciti stendarti sin dai tempi di Leo Longanesi il quale, in uno dei suoi paradossi, faceva dire a una cameriera a chi cercava il suo datore di lavoro: “Questa mattina è uscito a sinistra, a pranzo lo troverà al centro, la sera si coricherà a destra”.

Sigmund Freud, in visita in Italia, disse che noi siamo vittime di una pseudo-democrazia, incuranti di un grande imbroglio; sarebbe più facile, consigliò, di rifarci da cima a fondo, rinascere senza colore, senza razza, politicamente purificati, con una mente formata e programmata per rifiutare il “cattivo” e affermare il “nuovo”. Non c’è traccia di questo pensiero freudiano né a nord né a sud. Sopravvive l’”indignato” che per Nietzsche è la quintessenza del “gran bugiardo”; segna, come spiega Emil Cioran, l’arresto dell’evoluzione mentale.

“Avevo sempre una medaglia di Marx in tasca”, confessò il Duce a Emil Ludwig nei “Colloqui con Mussolini” (pag. 48).

 MAURIZIO LIVERANI