di Maurizio Liverani
Intanto segnaliamo una grande vivacità da parte dell’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. E’ il momento di mettere in chiaro un punto, per tanto tempo trascurato per la supponenza della Chiesa e per l’indifferenza dei non credenti. I cattolici che fornicano con la politica portano alla mente le parole di Flaubert: “Sono un mistico e non credo a nulla”. A questa scossa allarmante per chi crede se ne aggiunge una più inquietante. E’ del più volte da noi citato Emil Cioran: “La coscienza è la prosopopea della materia”; la storia non è che putrefazione -scrive ancora ne “L’inconveniente di essere nati”- è “vomito e panico”. Dall’indolenza, dall’apatia si risvegliano i nuclei, non armati (ancora) per fortuna, dell’ateismo militante. Le motivazioni che offrono per invitarci a non credere nel soprannaturale non sono attinte da Giacomo Leopardi, ma dai “Principi di decomposizione” uno dei saggi più apprezzati del filosofo franco-romeno. Nella “Tentazione di esistere” Cioran, a proposito di Dio, dice: “Finora gli abbiamo accordato le nostre virtù; non osavamo attribuirgli i nostri vizi”. Umanizzato finisce con l’assomigliarci: “Nessuno dei nostri difetti gli è estraneo”. Mai, i non credenti si sono spinti così lontano. Il laico sarebbe in procinto di diventare un non credente; su di sé non sente più le stigmate del divino. Per disfarsi della fede propone centri in cui ci si può “sbattezzare”. Per liberarsi da questa unzione che alla nascita gli garantiva di essere unto dal Signore basta una semplice atto sterilizzante, operato nel rispetto delle buone maniere. E’ una forma di modernizzazione. Ma questa modernizzazione del cielo -scrive ancor a Cioran- segna la sua fine. Un Dio evoluto, alla moda, può ritirarsi dalle nostre anime; non è più intenzionato di conservare la sua “trascendenza infinita”. Il credente, da modello, è per questi fautori dell’ateismo ad oltranza un’anomalia senza attrattive. Sui solchi ben tracciati del trasformismo politico gettano le loro sementi quanti affermano che la Chiesa non è indenne da soprusi e da azioni vergognose. Chi difende ancora il soprannaturale si tortura al pensiero di che cosa rimane ai giovani, oltre a una grande disistima per la politica (e passi), ma con l’ateismo anche per la vita nel suo insieme. Se alla retorica del nuovo, della storia che non può tornare indietro si aggiunge la retorica del non credere nell’Ente supremo, che cosa resta all’umanità se non la retorica del disgusto, della nausea? Nel revival del non credere, in una comunità di nauseati che odiano questa società in cui i politici fanno risuonare l’importanza dei principi come “cocco fresco”, si completa il quadro della decomposizione in cui questo elogio dell’ateismo non rivela nessuna efficacia in mancanza di alternative. E’ una protesta che colpisce tutto: la morale, la legge, la politica, l’arte, la letteratura, le idee nuove come le idee vecchie. Una protesta, quella ateista, nella quale si scorge soltanto la voluttà di essere testimoni più attenti del disfacimento. Se si dovesse dedurre l’essenza dell’ateismo l’uomo verrebbe immediatamente iscritto nel novero degli amletici. Di positivo in questa scelta miscredente c’è la conferma che c’è del marcio, non soltanto in Danimarca. Il mondo resta la casa di un amletico personaggio che non-sa-ancora-bene-quel-che-vuole; amleticamente, quel che deve fare. Urge una messa a punto.
Maurizio Liverani