di Maurizio Liverani
In generale, chi si dedica al “vice anglais”, sublimato da Oscar Wilde e dal “Coridon” di André Gide, un libro a dialogo in difesa di questa particolarità erotica, non conosce l’abominio del prossimo, bensì la simpatia e la solidarietà delle conventicole letterarie, teatrali e cinematografiche. Chi è sospettato di omosessualità trova più facilmente sistemazione nei ruoli della celebrità. C’è da dire che la maggior parte di loro sono dotati di garbo, di eleganza e aborrano la volgarità. Gli omosessuali erano e sono una organizzazione erotica privilegiata; altri gruppi che seguono istinti sessuali diversi non godono degli stessi vantaggi. L’omosessualità, da sola, in Italia non fa (non dovrebbe fare) scandalo. Lo confessano cardinali (con pentimento), seminaristi (con autoflagellazione), politici, ambasciatori, spiritosi e vitaioli. Al tempo di Oscar Wilde questa predisposizione, diffusa in diverse gradazioni in tutti gli uomini e donne, era associata a un’idea di angoscia. Angoscia che ha prodotto bellissimi romanzi come il “De profundis”, scritto nel carcere di Reading da Wilde. Ai tempi di Stalin soltanto la Kollontai, la portabandiera dell’amore libero, rivelava di essere un travestito. Stalin non la poteva sopportare perché si rifiutava di accordare il suo violino al cupo moralismo che il georgiano voleva imporre ai suoi sudditi. Il gran chiasso che si fa di questi tempi sull’omofobia non risponde a esigenze e a una morale anticonformista, ma al bisogno di tenere sempre in ebollizione la caldaia rivoluzionaria. Si ha un certo pudore a scrivere simili giudizi per paura di dire sciocchezze o per il rischio di essere confusi con i censori e con i bigotti. La posizione del moralista è la più sterile e controproducente; quello che occorre chiedersi è se queste scalmane abbiano un senso e donde nasca la loro scucita insulsaggine. In Francia, per sottolineare che una persona ha fortuna si dice ha “le pon pon”; volto in lingua italiana, equivale ad “avere buona sorte”. Se il gioco diventa pari per tutti, se l’essere gay non porta più danno a nessuno e non procura indignazione né prestigio, il personaggio del “dannato” svanisce; la democrazia omosessuale gli ha tolto la singolarità. Nel ricordare gli insulti che Palmiro Togliatti inviò ad André Gide, tornato dall’Urss deluso da quello che aveva visto, annunciando di non essere più comunista, citiamo quello più clamoroso. Gridando alla folla: “Gide è uno spregevole omosessuale”, il Migliore suscitò risate di scherno e applausi. Allora, nella sinistra essere gay era un delitto. L’omosessuale incorreva, in Unione sovietica, nella lobotomia; cessava di avere una personalità e gli era accordata una vita puramente vegetativa. Luchino Visconti, che aveva un ardore schietto per le donne, era famoso per la sua propensione verso i maschi; si vide rifiutare, per questa magagna, l’iscrizione al partito. Con l’Aretino rispose che alla milizia comunista preferiva “i messali culambresi”.
Maurizio Liverani