di Maurizio Liverani
Si spera che il cinema italiano al festival di Venezia, pronto al via, non ricorra al solito “catenaccio”. Un termine, questo, preso dal linguaggio calcistico. I film, come le squadre dal corto respiro, si arroccano a difesa del neorealismo. La recente produzione è troppo aperta sulle veritĂ rivelate dalla televisione. Sospettiamo che i film stranieri ci sopravanzino perchĂ© preferiscono la reticenza e la timidezza. Nei nostri film riproponiamo la nostra esperienza quotidiana; mancano di interesse, perchĂ© queste storie le abbiamo raccontante cento volte. Manca la voglia di cambiare. Il cinema, invece, dovrebbe, pur non trascurando la realtĂ , reinventare un nuovo mondo partendo da essa. Ogni anno vi registriamo qualche cosa di provvisorio e di caduco come se si avesse paura che la pura invenzione, la pura fantasia inficino troppo quanto è stato giĂ collaudato. Senza la fantasia il mondo è privo di senso. Nell’impegno reclamato, i registi, in genere, perdono quella profonditĂ di sentire, quel senso magico della vita, quel coraggio ideativo senza i quali non si può avere vera arte. “Servirsi di una menzogna culturale”, scriveva Elio Vittorini (foto) a Palmiro Togliatti, “equivale a servirsi di un atto di forza che si traduce in oscurantismo”. Aveva ragione. E’ incredibile come molti registi e scrittori abbiano abboccato, invece, alle direttive ufficiali, dimenticando che i partiti, in Italia, sono simili a vecchie biliose che pensano soltanto a se stesse e basta. Da tempo, il cinema ideologico e impegnato è effettivamente in crisi; c’è nelle opere, con qualche novitĂ , qualcosa di vecchio, di ristretto. Mario Monicelli è stato il primo a vedere una sorta di neo-fasullismo in questo modo di fare cinema. Purtroppo, i critici ufficiali sono legati a questo tipo di regie da una tacita intesa che consiste nel relegare nel limbo degli esclusi i veri talenti, che non appartengono ad alcuna chiesuola, che non si giovano di appoggi. Lo Stato deve stare lontano dalle “fonti” dove è in gioco la creativitĂ ; il cinema di Stato, come la televisione, si lascia catturare dalla logica della lottizzazione. In attesa delle “privatizzazioni-Godot” (il personaggio di Samuel Beckett che non arriva mai) il ministero mette insieme una commissione di personaggi scoloriti ad accordare sovvenzioni a cineasti, alcuni dei quali non di statura lilipuzziana. Quando parliamo di sovvenzioni, parliamo di tasse a carico del contribuente. I lottizzati, interessati alla continuazione del vecchio sistema, tirano un sospiro di sollievo.
Maurizio Liverani