FORATTINI, DOVE SEI?

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

FORATTINI, DOVE SEI?

Per sgattaiolare, Ennio Flaiano, che “annusava” aria di regime ovunque, ripeteva: “Non ho letto Marx, ma sono amico di Antonello Trombadori”. L’autore di “Tempo di uccidere”, vincitore del primo premio Strega, diceva spesso: “Sono preoccupato per Renato Guttuso, piace troppo ai datori di lavoro”. Si fece crescere i baffi sempre più folti per nascondere l’espressione di completo disgusto. L’avversione-amore per la Capitale nacque nel giorno della Marcia su Roma. Dodicenne, in mezzo a uno stuolo di camicie nere, vide cadere la mano di marmo della statua della Giustizia del Palazzaccio a piazza Cavour. Per poco un avvocato non ci lasciò le penne. L’aforisma “L’italiano ha un alto senso dell’ingiustizia” nacque in quel momento. Al garbato disegnatore Novello che lamentava la fine della caricatura, Flaiano scriveva: “Siamo scaduti nell’imitazione; nessuno viene a darti il cambio. E’ questo il segno che la società è soddisfatta di se stessa e insegue ideali che la caricatura mette in dubbio”. Ai politici, come Giovanni Spadolini, che si lamentavano quando la satira li trascurava, Flaiano replicava che il regime si avverte quando la satira non si concilia con il potere, anzi lo irrita. Nell’Unione sovietica era consentita la satira, la caricatura e l’irrisione ma soltanto del “moloch” capitalista. Chi, in Italia, fa satira contro il potere, si autoesclude. Nei loro assunti satirici i caricaturisti sono sostanzialmente conformistici. Conformista non lo è Giorgio Forattini, un disegnatore non “integrato” che decifra le menzogne e dileggia lo spettacolo della fiera delle vanità. L’irrisione del noto disegnatore è un gioco da bambini; un grande gioco di un grande bambino, mezzo poeta e mezzo burlone che sa verbalizzare, anzi, aggredire i nuovi potenti, quelli che si nascondono dietro le altisonanti parole, gli alati appelli, i pennacchi e le fanfare. L’italiano da tempo si è accorto che il Paese non è più popolato da persone pensanti, ma, soprattutto in politica, da emblemi. I rapporti tra i differenti emblemi sono tessuti di un rancore che non permette mai un’efficace azione solidale. Ogni generazione di politici svela con gli anni la sua parte di ridicolo. Non riescono a darsi neppure l’aureola dei “super partes”; sono figure anemiche, essiccate, l’ombra di idee, di eventi scaduti al confronto con un “mondo nuovo”. Che cosa sarà questo mondo nuovo annunciato da politici spremuti dal tempo, non si sa. Si ha il sospetto che sia lardellato delle nefandezze che rende legittima, da parte di moltissimi italiani, la richiesta di un risarcimento.
 
 MAURIZIO LIVERANI