Quando mi trovai sul set de “La bisbetica domata” (1967) ero molto perplesso. Mi attendevano tre indocili; il primo Richard Burton. Mi accolse un boato: la risata di Burton, pantagruelica e rotolante come una frana di macigni. Sghignazzando, l’attore mi pose questa domanda: “E’ qui per fare l’elogio della bellezza di Liz?”. Franco Zeffirelli mi prese da parte dicendo: “Non parlare a Burton di Liz Taylor”. I due divi stavano passando un periodo burrascoso. Ci raggiunse l’attore: “State ancora parlando della bellezza di Liz?”. Zeffirelli rispose: “No, è qui per parlare del film”. Burton insistette: “La bellezza è un fatto dell’anima, per esempio, Liz ha la tendenza ad avere il doppio mento, non è alta di statura eppure io la trovo estremamente attraente. Non ho ragione?”. Misurando a quali pericolose deflagrazioni potesse dar luogo una mia risposta, dissi: “Sì, ha ragione”. A queste parole, l’involucro di sussiego di Burton saltò in aria nuovamente. La risata riprese quota lentamente, come un pallone che si sia liberato di un sacco di zavorra. Il parossismo si quietò allorché, severa e altezzosa, entrò sul seti Liz, la “bisbetica domata”, e sul volto di Richard si disegnò una smorfia di disgusto per il tempo che aveva fatto attendere il regista. Signorilmente, Zeffirelli riuscì a rendere più distesa l’atmosfera. Sul set era gentile sia con le maestranze che con gli attori. Si distingueva nel cinema italiano per un’esistenza vissuta senza sforzo. La riuscita migliore nel suo cinema si ha con Shakespeare. Regista “aristocratico”, nella pellicola su San Francesco ha cercato di riportare nello stesso cerchio la vita popolare del santo com’è la terra e la povertà. Ottenuta la consacrazione internazionale, soprattutto con la lirica, Zeffirelli scelse la libertà di dire tutto quello che pensava sullo spettacolo italiano, troppo agganciato al carro della politica. Voleva elevarsi al di sopra degli opportunismi che inaridiscono la vita culturale italiana.
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L’irriverenza, è noto, non disturba il potere, anzi fa festa ai potenti della politica.
La satira ci salva dai fanatismi anche se non nuoce ai poteri. Decifra le menzogne dei valori strombazzati; dileggia lo spettacolo della fiera delle vanità. E’ la cura necessaria per chi è malato di retorica.
La satira punge il pallone perché non ci dia il panico, ma non lo sgonfia.
La parte dell’imprevedibile è sempre immensa, intanto ridiamo delle pompose dichiarazioni dell’onestà dei politici i quali credono ancora che il mondo sia diviso tra conservatori e progressisti.
L’irruenza settaria lascia sempre il posto allo sberleffo.
MAURIZIO LIVERANI
(Aforismi dai libri “SORDI RACCONTA ALBERTO”, “IL REGISTA RISCHIA IL POSTO”, “AFORISMI SOSPETTI” e “LASSU’ SULLE MONTAGNE CON IL PRINCIPE DI GALLES” di Maurizio Liverani)