di Maurizio Liverani
Un governo di unità nazionale è quanto suggerisce il premier Paolo Gentiloni il quale, prestando ascolto anzitutto alle cosiddette “voci di dentro”, può plasmare tutti i partiti, soprattutto da quando illustri studiosi hanno sentenziato che le ideologie sono morte. Esaminando a fondo la storia, il piccolo borghese, considerato un’entità ingombrante e qualche volta fatto uscire come un pupazzo dalla scatola con la parodia di nemico della politica, è, ed è stato, in realtà preso per il gabbo da uomini presuntuosi che pretendono obbedienza manifestando un’aura di probità e di conoscenza che di fatto non hanno mai avuto. Le tecniche dell’intelligenza hanno, in questi anni, fatto luce sull’altitudine dei loro spiriti superiori, svelando, grado a grado, la loro sostanza di esseri ambigui e annebbiati. Eroicizzati nell’immediato dopoguerra, ora le loro immagini hanno lasciato filtrare la loro pochezza, le loro immotivate ambizioni, adeguandosi al volere dei poteri forti. Gentiloni, con il suo comportamento da piccolo borghese, si è sentito autorizzato a dare lezioni di autentico attaccamento alla democrazia. Si è posto in una luce diversa e senza porsi in contrasto con i sapientoni ne ha gradualmente sminuito l’importanza. Coloro che nei vari partiti si sono impennacchiati, sventolando risorse ideologiche e intellettuali inesistenti, hanno offerto al premier la possibilità di differenziarsi ricorrendo soltanto al suo buonsenso. Gli italiani, con lui, hanno avuto la conferma della profonda disaffezione verso i cosiddetti metodi democratici. Gentiloni è diventato automaticamente disponibile per una democrazia sincera che non ha bisogno di infingimenti, in contrato con quanti concepiscono l’appartenenza a un partito come un titolo d’onore. Di questo passo, hanno svelato, grazie a Gentiloni, di somigliare ad “associazioni a delinquere”, giovandosi del ruolo che si erano dati per essere risparmiati dalla condanna pubblica. E’ da tempo che questi presuntuosi onorevoli vivono di entrature illecite, occupando con un mascalzonesco opportunismo tutti i centri di potere; il caso ultimo venuto clamorosamente alla luce è quello del M5s. C’è da dire subito che un inscalfibile marchingegno ha portato i “nuovi venuti” a sbombardare sui potenti, da molti anni nutriti dallo Stato, ripercorrendone la strada. Il politico, da quando l’ideologia è stata investita dall’ignominia e dalla menzogna, è apparso agli italiani come un animale fisiologicamente e biologicamente ibrido. L’invettiva di chi ha scoperto l’imbroglio è servita a questi furfanti da ornamento per la propria persona. Alcuni si sono creduti a tal punto intelligenti e sintonizzati con i grandi ideali da poter osare tutto; rivelandosi poi soltanto dei furbi e la furbizia, si sa, sta all’intelligenza come il batter di ciglia sta allo sguardo. Il tracotante Luigi Di Maio è stato criticato anche dai compagni di cordata; prima il “poffarbacco” ideologico del M5s si era impennacchiato delle fanfare e degli sventolii della difesa dell’onestà, proprio quella che ha inquinato con la sua presenza alla candidatura a premier. Molti cinquestelle hanno colto l’occasione per rendersi disponibili in qualche altra lista che annoveri tra i suoi programmi la “pulizia” morale. Con scioltezza, ma soprattutto con gran faccia tosta, il candidato leader del movimento pretende ancora di rappresentare la parte più onesta del Paese. Un vero democratico, magari a quattordici carati, sembra non si riesca a trovare neppure con il lanternino. L’indifferenza alle ideologie, incarnata da Gentiloni, ha dato i suoi frutti.
MAURIZIO LIVERANI