GERMI, UN GRANDE… IRACONDO

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI

GERMI, UN GRANDE… IRACONDO

Conoscendolo ci si domandava come Pietro Germi, costantemente corrucciato, silenzioso e impulsivo, sia riuscito a far ridere con “Divorzio all’italiana” e “Sedotta e abbandonata”. Era riguardoso verso la mafia alla quale dedicò un film interpretato da Massimo Girotti, “La mafia”. La pellicola non ebbe successo. La vena di Germi era dissacratoria. Il cinema era, per lui, un modo per mettere in burla gli aspetti più negativi della società italiana. “Divorzio all’italiana” fu designato a rappresentare l’Italia al festival di Cannes. “A Cannes non dovevano mandarlo, Germi ci infanga all’estero. I panni sporchi si lavano in casa”. Per i moralisti il film denigrava tutto ciò che era più rappresentativo della Sicilia cioè la sopravvalutazione della prerogativa transitoria della purezza. Germi faceva il cinema con la spicciativa franchezza dell’uomo che vuol dire pane al pane a tutti i costi. Quando “girava”, le sue grida, le sue battute di pugni, i suoi rimproveri agli attori, accompagnati da un uragano di improperi, solcato da sghignazzi di sarcasmo, creavano un’aurea vagamente intimidatoria. Ne sapeva qualcosa Stefania Sandrelli per la quale il regista nutriva una specie di affetto omicida, simile a quello che per la selvaggina nutre il cacciatore, o Sylva Koscina. Il copione del “Ferroviere” consentì a Germi (interprete oltre che regista del film) di menare le mani come a lui piaceva. Con la povera Sylva ci dava dentro senza risparmio. Germi non aveva alcuna simpatia per gli attori. Diceva: “L’attore è una marionetta animata, solo che i fili li deve avere dentro. Non impegna molto il cervello. Deve avere l’istinto dell’imitazione”. Dava poco importanza all’attore al punto di fare l’interprete in alcuni suoi lavori. “Era un modo in più per esprimermi. E poi perché non mi dispiaccio, mi piace vedermi. Non è il narcisismo che mi ha spinto a fare l’attore. Io sono portato ad avere antipatia per me stesso. Un attore piace o non piace, non può essere oggetto di analisi critica”. Fisicamente Germi non aveva nulla di nostrano, sembrava un incrocio tra Richelieu e Bernard Shaw, un padre pellegrino del Mayflower. Arrivò a dire: “Mi sono accorto che come attore non piaccio. Che posso farci! E’ così. Ho cercato di rendere simpatico un poliziotto nel ‘Maledetto imbroglio’ e il film non è andato. Da noi manca una letteratura gialla. A me è sempre piaciuto fare film polizieschi”. Nel Paese del “volemose bbene”, Germi non aveva timore di deteriorare amicizie e passare per poco socievole. La sua idiosincrasia per la stile dei produttori italiani era proverbiale. Diceva: “Perdono la testa per niente. Mi dicono che Carlo Ponti dopo aver visto l’”Ape regina” di Ferreri non volesse sentir più parlare nemmeno di Fellini”. Il compianto Germi si decise a fare tutto da solo. E’ stato l’ideatore della serie “Amici miei”; la morte gli impedì di realizzarli. Prima di andarsene consegnò le sceneggiature in mano a Monicelli che fu inondato di congratulazioni.

MAURIZIO LIVERANI

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