di Maurizio Liverani
Le candidature alle prossime elezioni sono tante perché sono tante le formazioni politiche che le propongono. Si conferma un paradosso di Leo Longanesi: “Per indisposizione del dittatore, la democrazia si replica”. O quella del sociologo Maranini: “La miglior forma di governo è la tirannide, temperata dal tirannicidio”. Il sapore dello scontento dell’opinione pubblica si potrebbe riassumere in una unica risposta: il “pernacchio”, che nacque e si affinò a Napoli per reagire alla tracotanza dei Borboni. Lo spettacolo offerto dai vari partiti meriterebbe un bel calibrato “pernacchio”. In questi anni, di partiti e partitini a Montecitorio si è perso il conto; si moltiplicano per scissione. L’orientamento prevalente è che devono essere numerosi. Non hanno un buon odore, ma sono pittoreschi. Non si dà più gran peso ai trasbordi da una formazione all’altra. Una volta questo andirivieni, questo via vai fu battezzato il “cammino della speranza”. In questa circostanza fa clamore un consigliere piddino lombardo, in carica per virtù di meriti cosiddetti di sinistra, il quale, senza dimettersi, si è presentato candidato del M5s. E’ la prima volta che accade ma è un marchingegno che probabilemte dovrebbe essere adottato per eliminare dal lessico politico lo sgradevole termine di “voltagabbana”. La “cambiale in bianco” non dovrebbe mai essere concessa. Chi abbandona uno schieramento per passare a un altro dovrebbe sentirsi, coscienziosamente, disposto a dimettersi. Non avendo rispetto delle forme, i “pierini” dei nostri partiti non hanno mai avvertito questo dovere. Di qui nasce la profonda antipatia degli italiani verso la politica; non si tratta di qualunquismo, ma di contrarietà morale. Per qualche tempo il cittadino si è adattato al gioco; ora è approdato al disgusto. Se gli attuali partiti non si rimettono nel verso della coerenza è fatale che il qualunquismo risorga. Fra le varie sette politiche è difficile fare distinzione tra destra e sinistra; l’unica salda e che non teme contraccolpi è quella che Magdi Allam definì, a proposito del governo tecnico, una “dittatura finanziaria”. Un’esclusione che non ha destato alcuno scalpore è stata quella di Antonio Di Pietro. Ma per aver solidarizzato con la consorteria delle poltrone di sinistra potrebbe passare dal veto alla vetta. La situazione è talmente ingarbugliata che l’ex magistrato potrebbe, per uno scherzo del destino, attribuirsi progetti da “leader-ship”. La stampa ha scoperto per lui nomiglioli che servono a porlo in luce sospetta: da “Eta Beta” a “Dracula”, il vampiro che si nutre di sangue. Anche fuori del Parlamento, Di Pietro si comporta come una zeppa nell’ingranaggio propagandistico della sinistra. Il fascismo, esauritasi la temperie finta democratica, sembra tornare di moda sotto altre sembianze. E’ una minaccia per alcuni, un auspicio per altri. Gli italiani sono ormai persuasi che i partiti nati dalla Resistenza, dopo aver inanellato errori su errori, ricorreranno allo stratagemma di ridestare l’”odio”.
Maurizio Liverani