GLI HANNO GIA’ INTITOLATO UNA VIA…

di Maurizio Liverani

Abbiamo finalmente la conferma che il Pd voglia ridurre Matteo Renzi a una vile pedina, a una carta senza valore nell’arruffato gioco dei pezzi grossi del partito, temendo il suo crescente prestigio di autentico democratico che va acquistando nelle altre formazioni. Tra questi capiscarichi che sono gli ex comunisti si è sempre usato un gran riguardo verso l’”attempatello”, cioè chi, avanzando nell’età, si circonda dell’aureola di “esempio”, al fine di indorargli la pillola, ma badando che non vi penetri l’ironia. L’ex sindaco di Firenze si è dimesso forse anche da questa politica; non vuole adornarsi di alcun prestigio mitico. Ha i connotati dell’uomo libero, detesta di poter essere considerato provvidenziale. Il suo partito ha sempre mitizzato gli uomini più rappresentativi, tipo Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, nati politicamente per essere sub-archetipi, adatti alla temperie attuale, dominata da mezze figure rapportate ai divi di un tempo. Quelli che hanno cercato di avvolgersi in una certa autorevolezza rivelano il dinamismo del “tira a campare”; hanno il vizio capitale della sinistra: la dissimulazione della verità. Sono costantemente prigionieri dell’”accappatoio dello scontro”; sono favorevoli all’”incontriamoci”. Restano sulla scena perché un gruzzolo di fiducia che dia prestigio agli avversari continuano ad avercelo. Non si può duellare con uomini mediocri e di cultura affastellata. Le quotazioni dell’odio nell’ambito del partito sono sempre stabili, di carismatico c’è, appunto, soltanto l’odio. E’ un fenomeno costante nato dalla sfiducia degli italiani verso il propugnatore del caos. Non si parla più di Palmiro Togliatti perché nessuno riesce a concentrare su di sé la magia del Migliore; adesso ci sono capi che consentono solamente il culto dell’impersonalità. Chi si crede avvolto da un grande carisma è affetto da presenzialismo, come Michele Emiliano che mette a frutto la sua mole. Aspira a ruolo di capo stimato anche se non ha titoli per guidare una fazione del partito. Dicono che sia felice di essere stato rottamato. Tutti sanno che dietro una rottamazione si cela un’ingordigia rabbiosa contro chi ha reso la loro vita politica insipida. Dopo aver sgonfiato ogni illusione cercano di volta in volta un nemico che si ponga da scoglio al corso della loro storia, purtroppo questa non segnala alcun successo e, tuttavia continuano ad appellarsi ai grandi valori di sempre. Matteo Renzi non vuol essere confuso con questa gente che si è rivelata una forza distruttrice spacciandosi come l’incarnazione di un bisogno inestinguibile di cambiamento. Non vuole avere neanche la faccia di un buon funzionario; preferisce tenersi il pregio che ha, quello di essere spavaldo e persino insultante. E’ evidente che si ripromette di tornare combattente, ma non nel drappello dei falliti. Chi gli è nemico, anche quello senza particolare acrimonia, vede in lui l’immagine di un capo che si è espurgato dell’ideologia della “falce e martello”, dell’Internazionale e della bandiera rossa. A molti poco importa se Renzi sia ancora un piddino, mentre interessa agli avversari interni i quali vogliono eliminarlo nella gara della politica italiana, dove ha scompaginato tutte le regole in vigore passando dall’antropofagia silenziosa a quella chiassosa e che ha un obiettivo: una nuova formazione non “infetta” da ideologie. Senza dubbio ha molti estimatori oltre che moltitudini di istigatori; l’avversione di cui fruisce nel partito ha risvegliato ambizioni di rivalsa. Queste considerazioni le suggeriscono le sue recenti apparizioni in video che sono molto apprezzate dalla base delusa dai rottamati. C’è chi lo accusa (o l’approva?) definendolo un “laburista”.

Maurizio Liverani