di Maurizio Liverani
Il modello è sempre Marilyn Monroe in “A qualcuno piace caldo”. Questa era la fissazione di Federico Fellini. Quando vide il film commentò: “Per raggiungere un tale grado di svampitezza bisogna avere un acume sopraffino”. Sono pochi quelli che sanno che nel mondo delle dive apprezzava soprattutto la “storditella”, incarnazione più difficile per un’attrice. Fellini la cercò per “8 ½” e scelse Sandra Milo capace, allora, di provocare il furore erotico. E’ spaventosamente difficile “portare” un personaggio come questo; ci vuole una imponderabile e furbesca femminilità. La bambola di carne di “8 ½” batteva le mani quando Marcello Mastroianni le diceva “porcona”; contenta della piega volgare che pretendeva il loro incontro. La svampitella -diceva Federico- se è investita da parolacce sgranerà gli occhi; i suoi stupori sono un potente additivo. Il vertice lo raggiunge Marilyn Monroe quando nel film “Quando la moglie è in vacanza” dice al coinquilino che, per combattere il caldo, mette i “suoi intimi in frigo”. Degli stupori della una svampitella, in Italia, sopravanzò tutte Stefania Sandrelli. Agli inizi somigliava a una creatura che si lasciava vivere; stava tra la Cecilia della “Noia” di Moravia e la Lolita di Nabokov. La arpionò, prima di Federico, Pietro Germi nel “Divorzio all’italiana”; contrario al progetto era proprio il produttore Franco Cristaldi. “Chi vuoi che si interessi a un film del genere quando nel mondo il divorzio imperversa già da anni?”. La testardaggine di Germi ebbe il sopravvento; il film interpretato da Stefania Sandrelli e Marcello Mastroianni piacque in tutto il mondo. I Kennedy chiesero di vederlo alla Casa Bianca e chi era presente riferì l’entusiasmo del presidente americano e di tutta la sua famiglia. Germi va ascritto tra i migliori, se non il migliore regista italiano. E’ l’autore del copione di “Amici miei”, uno dei più esilaranti film nostrani; sapeva usare l’idea dell’italiano eterno fanciullo che soltanto Fellini ha saputo intuire. Quante dive italiane e francesi cercano invano di apparire delle scolarette. “Play” in inglese significa recitare, vuol dire recitare la parte dello sciocco. In Inghilterra il teatro si chiama appunto “playhouse”. Il più alto del “play” lo tocca l’ochetta in “Nata ieri” in cui Judy Holiday sostiene la parte di una finta ingenua che svela tutti gli intrighi della politica. Il cinema italiano non sa usare più l’idea di svampitella che queste dive suggeriscono. C’è riuscito Salvatore Samperi con “Grazie zia” e “Malizia”. Utilizzare la diva come una “slot machine”, cioè in modo apparentemente irrispettoso, è la regola per riaccendere sullo schermo la brace spenta della vamp.
Maurizio Liverani