di Maurizio Liverani
Il paradosso è soltanto apparente, i romani si sono rassegnati, persino soddisfatti, di non essere più i cittadini della capitale del cinema. Di pari passo con questo nuovo papa, Roma appare una arcidiocesi come tante ce ne sono in Italia. La suprema gerarchia non ha fatto nulla per impedire questo declassamento. Forse è giunta l’ora di trasferire la capitale d’Italia a Milano o a Firenze che ha già un papa in nuce, Matteo. L’uomo della strada quasi non se ne accorge di essere un semplice parrocchiano. Una svagata attenzione viene accordata quando a un papa ne subentra un altro. Qualcuno si lamenta perché questo capintesta del Vaticano sollecita troppo i fedeli a chiedere perdono. Ma quale perdono? I visitatori, con papa o non papa, vengono ugualmente, attratti dalle bellezze che il Vicario di Cristo sembra non apprezzare. Per riacquistare prestigio cinematografico e tutti i pennacchi del divismo si è pensato di sbarazzarsi del cinema impegnato, di quello neorealistico e di sposare a vele spiegate il “cinepanettone”. Con queste trovate si cerca di impregnare di qualità squisitamente elevate e spirituali il Giubileo. Thomas Mann ha scritto che gli italiani sono “spaghettanti dello spirito”. Oggi dovrebbe dire sono “cinepanettanti dello spirito”. I giornali ostili al governo sono così irosi che, per contraccolpo, aiutano la maggioranza. Quando si deve criticare un provvedimento bisognerebbe essere lucidi, educati e non ricorrere alle frecce dell’odio; queste, come boomerang, si ritorcono contro. Non si spiega altrimenti perché i sondaggi non confermino le reprimende. C’è sempre qualche Napoleone dell’economia pronto a precisare che ci attendono ancora due o tre anni difficili; gli italiani tirino un po’ la cinghia, non le cuoia. Soltanto ai malevoli è dato di parlare di stagnazione. Nel mondo intero si parla addirittura di stagnazione secolare; i re Magi dell’economia hanno già la spiegazione pronta: non si sono ancora prodotte completamente le condizioni da noi previste per uscire dalla crisi. Colpa anche dei media che “frugano” troppo nella vita privata; una violazione che terrebbe lontani dal calderone pubblico i grandi “statisti”. I più sempliciotti sostengono che da noi mancano teste “aguzze”. Un grande luminare italiano si chiama Carlo Rubbia (fotoo), Nobel per la fisica, figura di cui dobbiamo andare fieri. Il “Corriere della Sera” riporta una sua dichiarazione sull’inquinamento: “legato al cambiamento climatico che si presenta come un problema complesso ancora da capire bene nella sua manifestazione e nella sua evoluzione”. Pesa le parole sottolineando che è una questione “talvolta manipolata da contrapposti interessi”. La notizia, per noi strabiliante, è posta con scarso risalto. Rubbia non è uno “spaghettante dello spirito”.
Maurizio Liverani