GUARESCHI RIFA’ L’UNITA’ D’ITALIA

FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
 
GUARESCHI RIFA’ L’UNITA’ D’ITALIA

La rinuncia al marxismo avvenne in quel momento. “Il Capitale”? Bazzecole! Lotta di classe? Pinzillacchere. Issato sul palco dell’ideologia della falce e martello, Giovanni Guareschi, nell’immediato dopoguerra, apparve la vivente incarnazione del compromesso storico; oggi, dopo tanti anni, si realizzano le larghe intese. Chi rifiutava l’ipocrisia di quel matrimonio diveniva automaticamente un pessimo comunista. Anche l’intellettuale da salotto dovette arrendersi. I protagonisti al cinema sono sempre gli stessi, preti e comunisti sin da “Roma città aperta”. L’alleanza tra il comunista Peppone (Gino Cervi) e il prete don Camillo (Fernandel) travalicava il film; era un’indicazione politica. Gli anni sono passati, i tempi sono cambiati, ma il pensiero dominante che scaturisce da “Don Camillo e l’on. Peppone” è rimasto intatto. La pellicola è sempre tornata utile nei casi in cui la sanatoria politica si chiamava “inciucio”. Molti leader comunisti non riuscivano a dare di se stessi uno spessore diverso da quello assegnato loro da Guareschi. Tra i comunisti era difficile incontrare l’esuberanza, la simpatia di Gino Cervi. Lo stesso attore dovette calarsi con prodigioso mimetismo in questo personaggio. In tempi di crisi, come questo, la riedizione della pellicola diventa un tormentone; ha sempre avuto uno strano effetto: a sinistra, a volte, accresce l’intransigenza del dogma. Dietro tante dispute, tante metafore belliche si è sempre nascosto, in sostanza, l’accordo tra i due duellanti. Prima per protrarre la controversia e far credere che ci sia stata lotta aspra, per poi strombazzare a gote gonfie, gli uni e gli altri, la vittoria raggiunta; e tutti dicevano di aver reso al Paese servizi inapprezzabili. Non si parlò più di cosacchi che si abbeverano alla fontana di piazza San Pietro; niente invocazione a Stalin come “a da venì Baffone”. L’aspirazione all’inciucio, con il tempo, si è fatta ancor più consistente. Quando il film si accampò per la prima volta sugli schermi, in apertura di pagina “L’Unità” titolò: “Italia offesa”. L’autore dell’articolo, l’indimenticabile Tommaso Chiaretti, non immaginava la tempesta che di lì a qualche ora si sarebbe scatenata su di lui. Palmiro Togliatti bocciò la bocciatura del film, desunto dalle pagine di Guareschi. Il giornalista, molto bravo, fu la prima vittima di quel lontano compromesso storico. Il film preferito dal Migliore era, appunto, “Don Camillo e l’on. Peppone”, pur non facendo entrare il cinema nella sfera della cultura. Sul piano elettorale, questo Togliatti precursore confermava la tesi di Gramsci per la quale più importante del governare è esercitare una vasta “egemonia”. L’ex direttore dell’”Express”, François Revel, proclamò che il film tratto da Guareschi era una forma dissimulata di “stalinismo in senso lato”.

MAURIZIO LIVERANI