di MAURIZIO LIVERANI
GUIDA ALLA GLORIA
Il mito della diva, nel quale l’immaginazione popolare impersona il cinema, è consunto. La bellezza pura e semplice, adoperata come un vessillo, è un’arma come la spada o la cappa del torero; non basta da sola. Con attrici come la Loren e la Lollo i registi imponevano al pubblico un tipo femminile che supera gli uomini con una sfumatura matriarcale. Ricordo che Robert Hossein impegnava una minuziosa contrattazione preventiva per trattare l’ingaggio della moglie Marina Vlady. “Apparizione in succinto bikini sotto la pelliccia davanti al plotone dei fotografi, novanta probabilità di fare scandalo… Tot più tot: va bene?” A Marina Vlady, Hossein non chiedeva che di essere una cosa di carne (così l’avrebbe definita il nostro Rosso di San Secondo); voleva, nel contempo, avvalorare la leggenda che Marina fosse una illustre svaporata, una venere senza complicazioni; doveva essere una graziosa e velenosa vamp. L’attrice era figlia di emigrati russi giunti in Francia con i famosi balletti di Mosca. Marina divenne, grazie a questa propaganda, una delle tre, quattro, dieci donne tra le quali si divide Casanova. “Le avventure di Casanova”, diretto da Steno, conobbe un discreto successo, ma lanciò un allarme. Le dive che fanno leva soltanto sulla fascinazione sessuale cominciavano a perdere punti; al fenomeno del divismo si sostituì quello dell’attore. Come catalizzatrice di fantasie maschili la vamp cominciava a dire poco o nulla; alle attrici si cominciò a chiedere una sensibilità elusiva ed esprimere una enigmatica insoddisfazione. Lo testimoniano, negli anni ’70, Gloria Guida, attrice accattivante, ma, soprattutto, vessillifera della moderna bellezza femminile. Si allontanò dallo schermo perché non condivideva che la diva dovesse essere unicamente la “zecca” delle fantasie maschili. Vincendo il sacro terrore dei film farseschi e semi pornografici, l’attrice accettò di essere la protagonista del “Solco di pesca” diretto dal sottoscritto cui regalò una prova convincente. Il suo rifiuto di apparire sullo schermo ha coinciso con la convinzione che è indispensabile un effettivo rinnovamento dei personaggi femminili dotati di sex appeal. Gloria si persuase che avrebbe dovuto rassegnarsi al declino; si negò allo schermo, ma, facendo leva sulla sua bella voce e sull’espressività e sul talento, approdò al teatro. Il mondo dello spettacolo dovette ammettere che non è soltanto bella, ma dotata di qualità indiscutibili. Da attrice, con la sua scelta ha rifiutato un’esistenza vuota, cercando ruoli di una consistenza autentica, autonoma, determinata, persuasa di doversi mettere sulla strada delle interpreti che svariano in diversi ruoli. Superate tutte le resistenze, è uscita definitivamente dal ghetto delle sex symbol nel quale volevano relegarla.
MAURIZIO LIVERANI