di Maurizio Liverani
Nei leader dei vari partiti non c’è chi abbia la stoffa del capo popolo, altrimenti vent’anni di dittatura non ce li toglierebbe nessuno. Dobbiamo “accontentarci” di questa egemonia, impasto “nauseante” di comunismo e clericalismo. A sinistra, alle folle sempre più smagrite, non sanno dare che frasi fatte come quella di D’Alema -per non ammettere che il comunismo è morto- “siamo entrati nella grande famiglia socialista” (dove non c’è ormai più nessuno). La situazione nel nostro Paese è sì critica, ma soprattutto ridicola. Le casse dello Stato sono al limite; a sbrogliare la situazione interviene Mario Draghi. Ai grossi finanzieri, ai capitani d’industria, ai monopolisti Matteo Renzi, per il momento, va bene. Con il consenso della Bce, il periodo “sperimentale” del nostro leader si prolunga e rende superflue le polemiche che agitano i partiti, in lotta per conquistare i comuni più importanti. Le intemperanze di D’Alema, di Bersani, di Bassolino hanno un sapore stantio. L’Arcadia populista, inaugurata da Renzi, non può essere disturbata continuamente dalle beghe portinaie dei rottamati. Il più irritante è Massimo D’Alema il quale, con Pier Luigi Bersani, rimpiange l’Ulivo che ha fatto fiorire molte delle disgrazie dell’Italia. Basta un po’ di sussiego comiziale, un po’ di collera ed ecco pronta la brughiera degli scontri che rendono noiosissime le cronache dei giornali. D’Alema è stato preso da furor mattatorio. Bersani diffida di lui e sa anche che il nuovo idolo dei romani delusi è Alfio Marchini. Il neo candidato a sindaco snobba le vecchie formule, destra e sinistra, ed è sabotato perché tira un vento a suo favore, avendo dichiarato che è finita la contrapposizione destra-conservazione e sinistra-giustizia sociale, sfruttata dalla malafede dei partiti agganciati ai potenti, ai posti, alle poltrone. A destra, il candidato per il Campidoglio, Guido Bertolaso, somiglia a quei galletti di ferro dei campanili, dritti e impettiti che girano a ogni soffio di vento; sostenuto da Silvio “il generoso”, si sente sfiorato dal respiro della storia.
Maurizio Liverani