di Maurizio Liverani
Non occorrono particolari occhi per accorgersi che il clima politico e mondano è cambiato e che proclamarsi progressisti richiama soltanto il ridicolo. Quelli che avevano sposato il progressismo con una certa fastosità salottiera o hanno cambiato aria o si rintanano nelle ben arredate case. E’ doloroso rinunciare ai vantaggi che Ennio Flaiano, nel suo “Frasario essenziale per passare inosservati in società”, ha così elencato: “Sarete temuti e rispettati – Libertà privata totale – Ampia possibilità per il futuro – Viaggi in comitiva – Nessuna perdita in caso di persistenza del ‘sistema’ – Guadagno in caso di rivoluzione (almeno per i primi tempi) – Colloquio con i giovani – Ammirazione del ceto borghese – Ampie facilitazioni sessuali – Possibilità di protesta – Impunità per delitti politici e di opinione – In casi disperati alone di martirio”. Il concetto di ricchezza è stato, fino a ieri, trionfante nella nostra società; ha ricevuto un impulso dalla paura che scompaia definitivamente. Il grande evasore, inutile nascondercelo, è sempre stato guardato con grande ammirazione. Giovanni Agnelli (foto) era ricco, bello, vincente nel calcio e con tanto fascino. Massimo Moratti, quand’era proprietario dell’Inter, era pur sempre un grande petroliere. Per vincere una Champions League ha stipato la squadra di campioni stranieri. L’italiano comune è affascinato dal grande borghese ben vestito. La falce e martello è stata trattata come un congegno glorioso, oggi riposto in un cassetto. I baroni del comunismo sono sempre stati dei miliardari che scivolano sul mare con i loro panfili e comperano legioni di calciatori stranieri. Adesso che tutto è finito dobbiamo ammettere che l’Urss era un’entità astratta, rifornita di armi dagli Stati Uniti. Ora il compagno si sente nuovamente un piccolo borghese. Quelli trascorsi erano i tempi del conformismo bovaristico e tutti erano convinti che il cinema neorealista servisse ad aprire le menti e a modificare la società. Solo ora ci si è accorti che l’arte, soprattutto secondo Adorno, deve “spogliarsi” della vergogna di essere realista. Sembra che ormai l’italiano abbia accantonato tutte le illusioni fasciste, comuniste e democristiane. Il comunista in crisi è una macchietta. Prima gli era concesso di essere, nei salotti, spassoso, allegro e danzante. Oggi sembra l’incarnazione del “memento mori”. Si ha vergogna di immatricolarsi in un partito. Insomma, diventando Pd, il Pci ha perso tutti i pennacchi. A Torino è spesso chiamato “ciula”, “pirla” a Milano, “mona” a Venezia, “barlocco” a Firenze, “testa di…” a Roma.
Maurizio Liverani