di MAURIZIO LIVERANI
La Palma d’oro alla carriera ricevuta da Alain Delon porta inevitabilmente a ricordare Luchino Visconti, l’aristocratico regista che pose sugli altari del divismo l’attore francese. Lo scopo del film “Rocco e i suoi fratelli” (1960) era quello di far passare tra i grani del rosario marxista le gelide esplorazioni di un diabolico erotismo, innestate sul bien-aimé Alain per esaltare la chiara e morbida ellenicità del petto, delle belle costole, degli agili fianchi del divo francese di cui il duca si era invaghito. Le fleur de ta jeunesse replit mon coeur agé d’une eternelle ivresse, sembrava dire con Verlaine sul set del film ogni volta che il suo sguardo si posava sul giovane efebo. L’amore per la virilità mascolina e per l’eterno istante della bellezza può tingersi di disperazione e indurre al rispetto. Alain Delon ha sofferto pene crudeli e per un compenso offertogli dalle Muse – sempre meno ingiuste degli uomini – ha ritrovato, anzi, riscoperto interamente se stesso dimostrando che l’arte molte volte scaturisce dalla sofferenza e non dalla volontà di primeggiare. Sarebbe assurdo condannare, soprattutto oggi, Visconti (è morto da tanti anni) e il bellissimo divo Alain. Se ci soffermiamo su questo aspetto della loro vita privata non è per unirci al brontolio dei moralisti, ma per segnalare come al “sensualismo estetico” del duca è toccata la protezione e l’ammirazione dei cultori del bello. Luchino è una gloria ufficiale; i cinefili, che tanto lo hanno osannato, gli hanno perdonato le “stravaganze” sessuali (così allora erano chiamate), l’individualismo, la difesa della diversità, ora tanto in voga. Persuaso di aver ricevuto una destinazione eterna, il duca amava stabilire una relazione diretta tra sé e il Creatore. Diceva le cose come stanno o come aveva il coraggio di guardarle. Le donne brutte? “Che si impicchino”, era la sua risposta; oppure che “vivano ma non si facciano vedere”. “Bellissima” (1952) è un pamphlet contro il cinema ma anche contro le popolane romane – troppo “piagnone” –viste con una sorta di disperata pietà e di aristocratica crudeltà. Anna Magnani si invaghì del regista e proprio con lui dette una delle sue indimenticabili prove. Per Luchino era disposta a dare il meglio di se stessa tanto che si mormorava che tra i due fosse nato un amore, oltre che una stima sincera. Io, frequentando il set del film, mi resi conto della profondità di questo feeling di cui era proibito parlare. Visconti si dichiarava misogino perché voleva introno a sé donne di rango come Maria Callas, Silvana Mangano, Marlene Dietrich. Credeva in Dio e nell’aldilà – i quartieri alti del Paradiso – “altrimenti che senso avrebbe la mia vita?”. Delon la pensa allo stesso modo; entrambi di fronte alla dottrina si tenevano con nobile distacco.
MAURIZIO LIVERANI