di Maurizio Liverani
Il desiderio della provvidenza – risvegliato alla maniera contadina dal Papa – ha indotto Alfio Marchini (sandwich “croce e falce e martello”) a proporsi come sindaco di Roma. Viene da una famiglia che è il “protoquamquam” della romanità: buoni affari, eccelsi intrallazzi, popolarità, attenzione per l’arte. Quando sulla Capitale si è messo un paravento al comunismo, non tanto per ridurlo in sé ma per sottrarlo alle malelingue e all’esibizionismo rivoluzionario, si è scelto un membro di questa famiglia. Negandosi all’ostentazione verso l’esterno, da cui un tempo lo snob marxista traeva la sua ragione d’essere in quanto serviva a dimostrare il suo “status”, Alfio si è oscurato con una affettazione di austerità, rimanendo pur tuttavia divo che si deruba agli occhi indiscreti. E’ la regola che si è imposto e che i suoi sostenitori gli hanno consigliato. Così il filo sulla scelta del sindaco si lega alla stessa logica. L’ideologia è svanita, i simboli anche, Marchini porta a spasso la sua smorfietta sardonica che si dice oppressa dagli alti pensieri del talento politico: è dai tempi del nonno che si pensa ne sia l’erede. E’ legato per i quattro angoli al Vaticano come una sorta di referendario, cioè uditore e consigliere e agli Stati Uniti di cui tiene accesa la fiammella. Con la sua spiccata aria di essere estraneo al “rosso”, con lineamenti sobri, non arroganti, ha la fama di avere un cervello fino in cui procedono appaiati la fede e il gusto del peccato, cioè l’essenza del cattolicesimo. Tra tante facce politiche nate per la noia, Alfio, bisogna ammetterlo, può far pensare a un Davide capace di intraprendere un combattimento contro Golia. Va detto che in casa Dc certe “chicche” passano per essere quel che c’è di più interessante. Marchini è soprattutto una figura polivalente, non appartiene intellettualmente ad alcun partito, la stampa lo deduce dal fatto che al suo rientro dagli Usa andò a pranzo con Silvio Berlusconi, il quale, coerente con il suo intuito, ha individuato in Alfio il sindaco adatto per Roma. La strategia di Silvio è diventata pendolare: se il governo è di destra predilige un sindaco di sinistra; se è di sinistra oscilla a destra. E per trascinare a pié di letto sempre nuovi ammiratori, ha fornito candidati al Pd oltre a progetti di governo; poi al grido “mi ha copiato” si è scapicollato con la furia di uno stallone che ha rotto la cavezza. Di qui ne è nato il sospetto di un invito a sostenere un sindaco a mezzadria: cioè senza partito.
Maurizio Liverani