FATEMELO DIRE
di MAURIZIO LIVERANI
IL CINEASTA CHE VENNE DALL’EST
Il cinema, nei regimi, si identifica con le direttive di chi detiene il potere. Il marxismo invadente e volgare induce i ministri dello Spettacolo a stanziare cifre roboanti per il cinema che Palmiro Togliatti non faceva rientrare nelle arti. Lo considerava un mezzo di propaganda utile al Pci. “Per Togliatti – scrive Lucio Colletti, ex comunista nella sua ‘Intervista politico-filosofica’ – la cultura era separata e giustapposta alla politica. Togliatti sfoggiava una cultura tradizionale di tipo retorica e la sua politica non aveva alcun legame organico con essa”. Il suo cinema d’élite era, come tutti sanno, “Don Camillo e l’on. Peppone”. Palmiro vedeva Guareschi come il precursore del consociativismo. Nel 1919, Lenin proclamò: “Il cinema è per noi l’arma più forte”. Era un’intuizione esatta e di un significato quasi incalcolabile. Lo schermo divenne, nell’Urss, schermo di Stato al servizio dello Stato, retto dall’ideologia comunista; da allora non si è stancato di servire l’ideologia e il regime. Quando, molti anni fa, con “L’infanzia di Ivan” (1962) il regista Andrej Tarkovskij dimostrò di essere titolare di una individualità insofferente alle regole del realismo socialista, fu costretto a scusarsene. Il film, presentato al Festival di Venezia, vinse il Leone d’Oro (ex equo con “Cronaca familiare di Valerio Zurlini). Messo in castigo per alcuni anni, Tarkovskij ha potuto successivamente realizzare un altro film, “Andreij Rublëv” (1966) e, poiché si era dimostrato recidivo, in quanto a individualità e indipendenza di giudizio, fu nuovamente riprovato. Questa pellicola andò al festival di Cannes nel 1969 dopo alcune amputazioni e montaggio riveduto. Ebbe un notevole successo ma in patria passò sotto silenzio. L’inquieto regista russo negli anni ottanta lasciò la “patria” e si trasferì prima in Italia, in Toscana, per poi chiedere asilo politico agli Stati Uniti; terminando la sua cavalcata a Parigi nel 1986. Torniamo in Italia. L’arma intuita da Lenin, l’arma dello schermo, non fu intuita dagli anticomunisti italiani che, sconsideratamente, lasciarono cadere Tarkovskij nelle mani di Botteghe Oscure. Il Pci, con tempestività, comprese che in un paese non florido qual era l’Italia il cinema avrebbe attratto vocazioni togliendole alle altre arti. Perché questo? Perché il cinema è un’arte ricca; non minaccia la compagine e le altre arti tradizionali, cioè non sottrae al teatro e alla letteratura nessuna vocazione. Sulle rovine e sulla spazzatura del dopoguerra nacque addirittura un’estetica. E infatti l’estetica e la teoria sono coltivatissime nei paesi poveri. Il neorealismo è il frutto di deficienze contingenti e ha indotto i registi a girare in esterni e a scoprire la strada e il “signor primo che passa”.
MAURIZIO LIVERANI