IL COLLE E’ STANCO DEI CAPRICCI

  • di MAURIZIO LIVERANI
  • Il presidente della Repubblica, sulla spinta dei rimproveri per aver “posto” a capo del governo una triade; si è accorto ben presto che il nostro Paese, in questa situazione, è la terra promessa dell’infelicità e della cupezza. Se ben guardiamo all’azione del governo a conduzione tripla il presidente ha il timore di questa fine: l’errore. Non già per attribuirne le colpe, ma per assumerne gran parte. Con un’improvvisa illuminazione, Sergio Mattarella ha deciso che l’Italia abbia un “solo” capo del governo; ha tollerato per qualche tempo i capricci degli altri due, Salvini  e Di Maio, cioè, si è finalmente accorto che ci sono troppe baronie che hanno esteso il loro potere e hanno fatto il bello e il cattivo tempo sia con un governo di centro, di sinistra o di destra. In pochi mesi l’uomo del Colle ha capito che non si può governare con una pattuglia che in poco tempo ha confermato quanto sentenziava Leo Longanesi: “Per indisposizione del dittatore la democrazia si replica”. Ridimensionando Salvini e Di Maio, ha fatto una scelta per epurare il governo da due rissosi arrivisti e per affidare la conduzione a un capitano di lungo corso, fedele alla democrazia purché le si restituisse l’antico valore. E’ probabile che Mattarella voglia intervenire con un leader di fiducia nella politica italiana; il suo diletto dovrebbe essere nell’aver intuito che nel M5s e nella Lega gli italiani non riconoscano alcun merito se non di aver messo un Paese sul ciglio del baratro. I “rimandati” somigliano a due bacilli virgola che si credono intelligenti soltanto se ricoprono l’avversario di insulti e improperi. Per questi la vita è il terreno prediletto dall’odio; una specialità da cui emergono le rivoluzioni. Questo odio ha snervato gli entusiasmi dello Stivale; ha rammollito ogni aspirazione a un futuro migliore. Giunto al confronto con gli altri governi dell’Unione europea, il presidente della Repubblica ha scelto un solista senza orchestra, mettendo all’”angolo” gli altri due che in poco tempo hanno screditato il prestigio dell’Italia. Giuseppe Conte è un liberal; vuole, cioè, sforzarsi di mettere ordine nella compagine governativa depurandola da ogni aspirazione totalitaria. Il confronto che il premier dovrà affrontare con gli altri governi verte su questioni finanziarie. Non è un tecnico della finanza ma sa diagnosticare le disfunzioni e suggerire rimedi; è qualcosa di più di un uomo di parte. Che non sia un politico da retrovia lo dimostra la fiducia che subito gli ha accordato Donald Trump. Mattarella era, soprattutto, esausto alla vista di una lotta politica condotta con singolare cattiveria. In questa scelta c’è lo zampino, ovviamente, dell’alta finanza e dei tecnocrati. Conte ha tutti i caratteri di chi è al di là della politica e segue soltanto i dettami dell’efficienza; ostenta una spiccata indifferenza, a mezza strada tra noia e fastidio, per i contrasti politici; insomma, è pratico, non venera particolari ideologie. Con tecnica raffinata e con molta fantasia è entrato nell’orbita di Trump e di Putin. Forse per una volta l’Italia andrà per il meglio.

 MAURIZIO LIVERANI