di MAURIZIO LIVERANI
I professionisti dell’umorismo politico fanno fatica a riciclarsi. Il paradiso può attendere, Montecitorio no. In questo momento il palazzo della politica sembra una clinica di grandi invalidi, mentre, appena qualche mese fa, grazie a loro sembrava la grande fucina dei centri operanti. Incarnava il curialesco disprezzo che il Divo Giulio (Andreotti) nutriva verso i colleghi di partito. Il Divo era prevalentemente taciturno; una volta gli chiesero: “Perché non fa dello humour su Palmiro Togliatti?”. Forse chi gli rivolse questa domanda si augurava cupe odissee per il Migliore. “Bisogna essere cauti e riverenti per chi ha sale in zucca”, fu la replica di Andreotti il quale si era appena divertito con un epigramma che suonava così: “Per De Mita, per più lune / fu sostegno dello Stato / in quel modo che la fune / è sostegno all’impiccato”. Ci fu un lungo periodo in cui deputati e senatori spendevano tutto il patrimonio del loro rattrappito umorismo mettendosi in un cantuccio a raccontare storielle affinché i “bacilli virgola” di tutti i partiti si potessero divertire alle loro spalle. Più inclini alla barzelletta e alla facezuola pepata, si trovavano a mal partito alle prese con il vero umorismo; avrebbero voluto essere Churchill e invece riuscivano a essere al massimo Boldi. Jacchetti aveva osato fare dello humour sul suo capo, Silvio Berlusconi, e questi, che di spirito ne ha in abbondanza, non solo lo aveva perdonato, ma lo aveva elogiato. Una vicinanza con chi non abbia dell’umorismo mette Berlusconi di cattivo umore. Se non sapesse omerizzarsi tra “belli spiriti”, avrebbe intrapreso la carriera politica in modo suntuoso per non farsi ingiuriare; invece si è omerizzato sul “plus valore” del culto del bel sesso. Eppure tutti assicurano che fa gran uso dello spray dell’effluvio mistico. Ricorda Emil Cioran il quale diceva che per arrivare a Dio si può non passare per la fede e, infatti, c’è stato un momento in cui poteva scoccare l’ora di un laico al Quirinale. Purtroppo i caricaturisti fanno fatica nei loro schizzi a mitologizzare il Cavaliere. Ci ha provato il regista del “Divo”, ma ha fatto cilecca. Eppure questa di mitologizzare un “bello spirito” è uno dei maggiori guai – proprio guai – del nostro Paese nel quale non si può caricaturare una figura di prestigio e farlo entrare più facilmente nel ruolo delle “celebrità”. Con la droga del richiamo ai grandi si vive nell’illusione. Sergio Mattarella si immedesimizza in Aldo Moro; è avvolto in un’aurea da Sant’Agostino, non in quella di Francesco Crispi uomo di fine educazione, ma che alla Camera faceva gesti contro la iettatura giolittiana, mentre con l’altra mano salutava i giornalisti. Molti di questi personaggi recitano la mimica del parlamentarismo; oggi gli esponenti dei partiti minori, trattati quasi sempre come “cani da pagliaio”, fanno mostra di disperato eroismo. Vorrebbero essere decisivi con un seguito e una rappresentanza modesta; cercano di essere all’altezza di un destino, senza mai essere stati chiamati.
MAURIZIO LIVERANI