di MAURIZIO LIVERANI
Per dare una sistemazione organica a questo pazzo governo, la triade Conte, Salvini, Di Maio (immutabile, ma con la menzogna modificabile) deve produrre una tirannide di tipo amministrativo. Le proprietà governative, nel nome dell’interesse generale, rivendicano il dominio delle menti e delle decisioni. In altre parole, l’apparato dello Stato sta diventando così opprimente che una pesante coltre di conformismo grava sul Paese. Il gioco non riesce sempre. Un primo soprassalto di insofferenza l’ha dato Giuseppe Conte svelando che alla fine di questo esperimento inedito declinerà la sua presenza in politica. Non è un avvertimento mafioso ma una leale scelta. Ha fatto intendere che si profilano scissioni e che lui non ha alcuna intenzione di divertirsi a screditare il governo, formato, precisiamo noi, da “gerle” vuote che si atteggiano a intransigenti conduttori mentre è un governo di superficie che promette un’aria nuova. L’avversione che gli dimostrano i compagni di cordata potrebbe amareggiare presto chi li ha presi sul serio. Il premier Conte sceglierà la desistenza. C’è chi pensa di riciclare “sine die” l’ex premier Paolo Gentiloni. Un leader che non va soggetto a crisi; la sua principale qualità è di avere un solo volto e di non concedersi giravolte. Con Gentiloni in cattedra la consegna nelle varie formazioni sarà di non avere più nostalgia né della destra né della sinistra. Ha il tono del politico non pedante; non ha la spavalda demagogia di certi tromboni della politica espressa, per giunta, con concetti tortuosi. I capiscarichi che lo “portano” partono da questa premessa: Paolo Gentiloni ha una sua morale, ma non una ben definita dottrina sociale e, quindi, prende dai ruderi della sinistra un po’ di dottrina sociale in cambio di una fioca morale cattolica. E’ consapevole di appartenere a una classe politica ben poco tonificata dalle grandi svampite ideologie. I suoi fasti, si fa per dire, si devono alla sua modestia che gli ha consentito di non essere mai strumentalizzato. Ha capito che il genitore di questa politica è il crollo dell’idea nazionale. E’ toccato a lui essere, quando era premier, ora il braccio secolare, ora l’anticipatore dei tempi nuovi, ora il baluardo dei valori della tradizione. E’ da tempo che Gentiloni ha intuito che il comunismo si è volatilizzato mettendosi nel solco di Forza Italia. Agli ex pci non attribuisce alcuna intenzione recondita; partendo da questa constatazione si è comportato come un cauto riformista. Non si offende, anzi si commuove ricordando il candore di Beniamino Andreatta il quale diceva: “Mi auguro che l’Asinello (si era negli anni ’90) si affermi con gli ex comunisti finendo come i ‘piccoli indiani’”.
MAURIZIO LIVERANI