di Maurizio Liverani
Da quando con questo papa si è presa l’abitudine di attendere la “massima del giorno”, ogni sua opinione, invece di fare luce, entra in un gioco cangiante di contraddizioni. Visitando Regina Coeli il pontefice ha detto ai carcerati: “anche io dovrei essere con voi”. Un’affermazione che segue quelle frequenti di essere un peccatore. Sconcertante è l’asserzione che un luogo dove dovrebbe vivere un “peccatore” come lui sarebbe il carcere. Si tratta di asserzioni utili alla umanizzazione del capo della cristianità non di sconvolgimenti dei dogmi; cambiano i tempi, bisogna cambiare solfa. Ma forse Bergoglio questa volta è andato troppo oltre. Non rimpiangiamo una Chiesa che si è comportata in maniera crudele con Giordano Bruno o Galileo Galilei.
Il papa ha voluto ricordarci che tutti siamo suscettibili al peccato. Queste belle “parole” vogliono soltanto annunciare il nuovo corso cominciato con il Giubileo. In “Roma senza papa” Guido Morselli ricorda che “il sulfureo, a Roma, può anche mescolarsi all’incenso”, affermando che nella Chiesa romana sarebbe tradizionale. Nella Capitale si mormora che il pontefice insisterà ripetutamente su quel “aldilà” noto ai credenti come l’Inferno, un paesaggio sconosciuto in cui, parlando soltanto di Paradiso, i credenti non sono più sicuri di andare. L’Inferno, oltre al Purgatorio, ha la consistenza di un corpo chimico e psichico. Se ne conosce la data di nascita: il 6 marzo 1254, inaugurato da papa Innocenzo IV (vedi). La sua esistenza fu riconfermata da Bonifacio VIII nel 1300, stabilendo che costassù o costaggiù si potevano mandare le indulgenze. Chi ha bisogno di purificare l’anima, una patria ce l’ha; parente del mondo dove siamo soltanto per espiare i peccati. Chi si diletta al pensiero delle fiamme dell’Inferno farebbe bene a concedersi una “pausa di riflessione”, come si dice in politica. Chi ha peccato è un convinto credente che ha deragliato dalla fede con la ragione. Un periodo di riflessione precede l’approdo all’Inferno. Chi pecca e poi si pente sinceramente ha tutto l’interesse ad andare in Purgatorio in attesa che le “alte sfere” decidano di inviarlo in Paradiso o all’Inferno. Per Leibniz: “l’universo è pensiero; se questo vale anche per i due luoghi di estasi e di dannazione sorge il sospetto che il diavolo in questa faccenda ci metta veramente la coda”. Belzebù riprende tutta la sua dignità. Il diavolo potrebbe essere un individuo rigurgitante di qualità e sia ingiusto attribuirgli soltanto malefatte. Il Giubileo potrebbe liberare l’umanità dalla paura del diavolo. Paura finora affidata a pseudo concetti: angelismo e satanismo si contendono a non finire l’anima di ogni credente. Tanto più che l’ateo, se nella vita si è comportato bene, senza far male al prossimo e a se stesso, è degno -stando alle acquisizioni del Giubileo- di entrare nel calderone delle “anime belle”. In agguato però c’è sempre il nichilista con la sua massima greca: “la felicità sta nel non essere”. Ma i greci cercavano di rendere più gradevole la vita annichilendola nel sogno: all’esistenza hanno sostituito la bellezza e l’ebrezza. Quella che Schiller chiama “ingenuità greca” non è altro che la facoltà di far scomparire la vita e sognare.
Maurizio Liverani